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"Si apre il sipario"
Anna Mazzamauro al Municipale: «La mia vita sul palco e la genialità di Paolo Villaggio»
Mercoledì 13 dicembre alle ore 21

Mercoledì 13 dicembre alle ore 21 si riaprirà il sipario del Teatro Municipale con lo spettacolo “Com’è ancora umano lei, caro Fantozzi” che vedrà protagonista Anna Mazzamauro accompagnata alla chitarra e pianoforte da Sasà Calabrese, per una produzione Nicola Canonico.
In uno spettacolo teatrale ricco di spunti, la “signorina Silvani” rivela la storia di vent’anni di interazione con Paolo Villaggio, trasformando le parole non dette in scritti commoventi. Attraverso racconti avvincenti, si esplorano dietro le quinte i mostruosi incontri, lo storico “labbruzzo” della Silvani e il suo peculiare pensiero sul matrimonio, mentre si intrecciano le storie di Fantozzi, Mariangela, il ristorante giapponese e altri personaggi iconici. Racconti che si combinano con i ricordi di uno dei personaggi più celebri della filmografia italiana. Una Anna Mazzamauro, da un’energia travolgente, ci introduce nello spettacolo inaugurale del “nuovo” Teatro Municipale di Casale Monferrato. I biglietti per la serata sono offerti gratuitamente con obbligo di prenotazione, al costo del solo diritto di prenotazione, online su https://www.vivaticket.com/ o nei punti vendita Vivaticket.
Come nasce l’avventura nel mondo della recitazione?
Nasce con me! Nel mio Dna c’era questo! Non so fare null’altro, sono una donna assolutamente… inutile se non rimango sul palcoscenico. Quando scendo dal palco sono una donna asociale, ho un alfa privativo che non so dove mettere!
Tra cinema e teatro, cosa preferisce?
Io sono il teatro! Zan, zan! Un attore o un’attrice nasce con il teatro e viceversa. Il cinema è stato uno sviluppo dell’arte della recitazione, un modo contemporaneo per allargare il senso dello spettacolo. A teatro l’attore provoca emozioni nel momento in cui le vive. Nel cinema ripeti tante volte le battute, perché i fatti tecnici non sono all’altezza e per perfezionarli bisogna ripetere contro il nulla, il pubblico sarà al cinema non dietro la cinepresa. Il teatro è carne e sangue. Io per vent’anni sono stata viziata da Paolo Villaggio, con lui era come fare teatro. Mi ricordo uno sketch in cui Fantozzi vede nella Silvani una stravaganza: “Ah sono andata in Messico, ah sono stata qua…” e poi la Signorina Silvani chiede a Fantozzi “Cosa fa stasera ragioniere?”. “Vado a una riunione di condominio”. “Mi porti allora”. In realtà era tutta finzione dietro a una maschera. Erano personaggi studiati, dopo che le esperienze rincorrevano le esigenze della regia e di Paolo stesso. Quest’uomo era molto intelligente, geniale.
Sul palco, allora emerge tutta la “Mazzamaurità”?
Mi sento bellissima, giovanissima e intelligentissima! Superlativi che mi prendono con gioia, con emozioni grandissime che provo con il pubblico. Provo una sorta di amicizia teatrale! Un gioco che facevamo da bambini: quando si apre il sipario è come chiudere gli occhi per addormentarsi, sognando, ascoltando racconti… svuotando il dolore o divertendoti come il personaggio che interpreti, sentendo dall’altra parte il silenzio del pubblico. Una cosa migliore del rumore dell’applauso. Il silenzio è l’eternità.
Lo spettacolo come si sviluppa?
Hai scelto il termine giusto per la domanda. Sono venuta l’estate scorsa al Casale Comics e sono stata ospite dell’Hotel Business, la cui titolare è Viviana. Mentre prendevamo il caffè le dissi, «Ma ho visto che avete un teatro meraviglioso, mentre la sottoscritta ha uno spettacolo già “ristrutturato”». Allora mi mise in contatto con il sindaco Riboldi. A stagione completata, il primo cittadino mi ha concesso il madrinaggio dello spettacolo d’inaugurazione.
Parliamo di cosa accade sul palco
Ho avuto la sfacciataggine di riportare Fantozzi a teatro… Paolo Villaggio è stato un grande autore di se stesso e tra le pieghe della sua scrittura i personaggi diventano creature: io ho preso spunto da Fantozzi per sviluppare tanti argomenti come tentacoli. Quando Fantozzi porta Mariangela al concorso di “Bimbi belli”, Paolo pensò nella scrittura, a “Bellissima” di Visconti, dove una madre per amore porta la sua balbettante bambina a un concorso cinematografico… Un parallelo tra i due episodi, recitando quel monologo della madre. Oppure la Silvani sempre desiderosa di amplessi incontra un uomo omosessuale: “Ah che disgrazia ho conosciuto un uomo diverso”, lui le risponde “Stupida nana bassa, non sono io il diverso, ma sono gli altri che sono troppo uguali”. Sono orgogliosissima di questa frase. E lui continua dicendo: “Io sono giacca e tulle, io sono giacca e seta, io sono giacca e piume”. E parte la canzone sulla diversità scritta per me da Emanuele Belloni. Il modo orrendo di aver interpretato questo aggettivo allontana il vero senso dell’umanità. La Silvani è invece una donna sola e per piacere a se stessa si fa una “romanella”, una plastica, che le è costata “cinque pippi” e per avere questi cinque milioni da Fantozzi si inventa la gravidanza “Ma è tre anni che non ci vediamo” “Eh Fantozzi, lei è vecchio e ha il seme lento”. La Silvani è tessuto connettivo per lo spettacolo. Poi la Bianchina, il pianoforte rosso, una piccola scrivania dove sono appoggiati quattro racconti scritti da Paolo. L’ultimo rimane un capitolo magico e lunare, in cui Fantozzi incontra Paolo Villaggio.
Ci racconta quando ha mandato a quel paese Fellini
Quando ero piccola, ora sono giovane - io trovo ignobile che certi giornalisti mettano per iscritto l’età, tutti lo sanno - ma, scherzi a parte, mi cimentavo anche nel doppiaggio, purtroppo con grande dolore, perché c’era il rapporto voce-volto. Il doppiaggio che mi è piaciuto di più è stato in “Senti chi parla 2”. Qualche volta Oreste Lionello mi accompagnava alla CVD, e lì Fellini portò “Roma”. Il regista mi disse “Signorina, provi a doppiare queste signore di 90 anni”. “Mi scusi, io ho una voce da ventenne, non posso entrare nei palpiti di una signora anziana”. Nulla. “Ci riprovi”. E alla fine: “Signorina Mezzamauro” “Ahi”. “Lei non è capace”. E io allora “Signor Felloni, in famiglia lei ha una attrice più vecchia di me e allora la faccia fare a lei la voce”. Ho sbattuto la porta e me ne sono andata.
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