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Lettera aperta alla sinistra, dopo le elezioni

Passano i giorni e, poco a poco, alcuni elementi che hanno caratterizzato la pesante sconfitta elettorale emergono con più chiarezza. Anche alcuni elementi di analisi e proposta possono forse affacciarsi con qualche livello di precisione. Intanto la compagine che ha vinto le elezioni si sta preparando a fare le prime scelte. Io penso che saranno scelte in qualche modo più insidiose di quanto si possa pensare, anche grazie alla lezione impartita dalla storia del precedente governo Berlusconi 2001/2006. Quella vicenda non è riproponibile attraverso la stessa volontà di arrivare a scontri ripetuti, in modo particolare sul terreno sociale. Oggi è più plausibile aspettarsi scelte che, per alcuni versi, saranno in grado di andare incontro a esigenze vere e più volte emerse in campagna elettorale. PDL e Lega potranno verosimilmente andare verso una detassazione degli straordinari (più soldi in tasca a chi lavora) e una decostruzione vera e propria del contratto nazionale di lavoro, con la tendenza a trasportare (dalla grande alla piccola azienda) verso il singolo lavoratore il rapporto privilegiato su cui investire. Una vera e propria polverizzazione contrattuale, una diminuzione enorme del potere di chi lavora (del sindacato, anche) e, allo stesso tempo, una mano populista (ma non priva d’efficacia) che allunga un po’ di danaro in più a chi fa fatica a vivere con uno stipendio. Allo stesso tempo, non è da escludere che da una parte si agiti l’espulsione immediata di tutti gli immigrati clandestini (senza toccare la Bossi Fini che i clandestini crea), mentre dall’altra si mette a punto qualche provvedimento di accompagnamento per gli immigrati con permesso di soggiorno. Il bastone e la carota, insomma. Populismo e liberismo mixati di volta in volta con altre tensioni (nazionalismo economico alla Tremonti, per esempio) per costruire, questa volta si, un vero e proprio blocco sociale del centro destra, che il voto di per sé non garantisce una volta per tutte. Ecco, qui abbiamo intanto una sfida enorme come sinistra. Dobbiamo attrezzarci a ricominciare da una opposizione degna di questo nome, che rifletta sulla perdita di legame sociale consumatasi negli ultimi anni ed esemplificata plasticamente nel risultato elettorale. Dire che occorre genericamente tornare alla società per ribadire i nostri valori è assolutamente insufficiente. Una sinistra solamente “valoriale” è destinata al declino (non che i valori non contino, anzi!), così come la semplice presenza fisica tra le persone può essere percepita come non utile, se non è in grado di disporsi alla costruzione qualitativa delle lotte. Se le proposte del centro destra saranno in grado di consolidare il consenso sarà perché la nostra collocazione dentro la dinamica sociale non è stata in grado di produrre proposte credibili, costruite insieme ai soggetti interessati (i molti soggetti interessati, polverizzati dalle politiche liberiste di questi anni). La qualità della proposta è dunque determinante. Se, ad esempio, si dovrà affrontare la pericolosa guerra tra poveri (sempre più agitata e giocata con successo dalla Lega) che vede le classi proletarie, i ceti popolari spinti a odiare e contrastare gli immigrati che portano la colpa grave di rubare case, asili e servizi agli autoctoni, non sarà possibile scendere sul terreno pericoloso dell’”imitazione edulcorata” delle politiche dei padani. Questa tentazione, tra l’altro, è ben presente tra le fila del PD. Per trattare questo grumo di problemi bisognerà invece riavviare una vera e propria campagna, fatta di cento e cento vertenze locali, in grado di riprendere con forza la richiesta di investimenti per nuove case, nuovi asili, servizi e diritti esigibili. Così si può, forse, tenere insieme il proletariato di tutte le provenienze attraverso una riflessione e una azione tesa al rilancio di politiche pubbliche, che sempre di più sono state ridotte al lumicino da tagli ai bilanci (interessati) degli enti locali. Così si riprende una lotta basso verso alto, piuttosto che tra ultimo e penultimo. Esempi si potrebbero fare per quanto riguarda le politiche del lavoro, la laicità, gli scempi ambientali ecc. Quello su cui dobbiamo puntare è la ricostruzione di un senso comune condiviso basato su una ripresa della politica come azione sociale diffusa condivisa. Persino la discussione sulla ricostruzione di una sinistra politica può trarre linfa da un ragionamento come questo esattamente perché, invece di dover ripartire da schemi politicisti calati dall’alto, si nutre di relazioni efficaci messe in piedi sul territorio (finalmente un territorio non chiuso e competitivo verso l’esterno). La formulazione della sinistra arcobaleno non ha avuto il tempo (e forse neanche la volontà) di fare tali passi. Una sinistra che vuole lavorare a processi unitari ha, secondo me, l’obbligo di compierli sino in fondo. Siccome il tempo non è molto (ma va usato bene, senza accelerazioni e settarismi parimenti ideologici), proviamo a costruire campagne e vertenze (ce ne sarà l’occasione, il governo nuovo fornirà molte occasioni) che poggino anche sulla costruzione di case della sinistra capaci, luogo per luogo, di diventare il motore delle lotte. Case della sinistra come luoghi aperti a militanti di partito, ai volontari delle associazioni, ai componenti di movimenti e comitati. Si sperimenti senza paura il combinato disposto di una rinnovata azione politica e di una riorganizzazione democratica e orizzontale delle sue forme. Chi ci impedisce di decidere, dentro ogni casa della sinistra, come si sta insieme tra diversi, come si stabiliscono regole trasparenti e democratiche per decidere, come si organizzano le lotte locali che ci interessano di più? Nessuno, proprio nessuno. A Casale Monferrato le condizioni di base per ripartire ci sono tutte. Certo, a me piacerebbe che dentro le discussioni che si faranno in Sinistra Casalese (che è già una casa della sinistra!) avessero davvero al centro la qualità sociale dell’intervento politico. Tra un anno a Casale ci saranno elezioni comunali. Il rischio che io vedo è quello di arrivarci col fiato corto, magari a rimorchio di un dibattito non voluto, ma subito intorno a chi potrà essere il candidato sindaco migliore, oppure intorno a quale geometria delle alleanze scannarsi in astratto. Chi ha tempo non aspetti tempo. Anche a Casale dobbiamo riprendere la parola (riprenderla in tanti) per avviare una discussione pubblica sulla nostra città, sui suoi problemi, sulle sue speranze. Non mi diffondo in esempi, ma certo di spazio ce n’è. Dalle questioni urbanistiche (che possono diventare questioni molto concrete) alle questioni sociali (lavoro e servizi dentro le dinamiche perverse che ho sopra descritto), dal modello territoriale (se sappiamo parlare un linguaggio e avere pratiche che non esaltino il campanile, ma invece sappiano far crescere il senso dei rapporti con altri territori, la consapevole crescita di modelli energetici e di gestione dei rifiuti virtuosi), alla cultura (su cui si addensano ampi segnali d’allarme, degni di un “sistema” che si sta sfaldando, come dimostra un recente intervento di Marco Porta). Si faccia pure la discussione sulla costituzione di un gruppo unico della Sinistra in Consiglio comunale. Per quel poco che conta il mio parere è favorevole. Ma si giri presto pagina e si ricominci davvero dal basso e a sinistra. Ogni altra tentazione di percorrere scorciatoie ci potrebbe davvero condannare per molto tempo Alberto Deambrogio

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