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La sentenza, la strage. Tutta. Di Amato: «Schmidheiny non ha pensato al solo profitto»

La difesa del barone belga Louis De Cartier, ha prodotto ieri - lunedì, durante quella la penultima udienza del processo di appello per la strage causata dall’Eternit - il certificato di morte dell’imputato belga, scomparso pochi giorni fa a 92 anni. Certificato redatto in fiammingo e tradotto in italiano, che è stato acquisito dalla Corte d’Appello che ha altresì provveduto a nominare un perito che dovrà validare, entro venerdì, il documento, di cui il tribunale prenderà poi atto nell’udienza di lunedì prossimo, 3 giugno. Il difensore di De Cartier Cesare Zaccone ha altresì Preannunciato una istanza - evidenzia Bruno Pesce, coordinatore del Comitato Vertenza Amianto - «volta - abbiamo inteso - a ottenere uno stralcio totale della posizione del belga, in modo che la sentenza riguardi solamente lo svizzero. «Noi auspichiamo che la sentenza invece affronti il disastro nel suo complesso e prenda atto della morte di De Cartier. Ciò significa che non può essere confermata la condanna nei suoi confronti, ma al tempo stesso che si prenderebbe atto del disastro nella sua vera dimensione». Poi l’udienza di ieri, lunedì, è stata tutta dedicata ai difensori dell’imputato svizzero Stephan Schmidheiny. L’avvocato Astolfo Di Amato, difensore del miliardario svizzero - ha contestato l’interpretazione del pm Raffaele Guariniello difforme - sostiene - rispetto alla sentenza di primo grado cosa «non ammissibile - dice - sia perché rende il diritto incerto e sia perché il pm non ha impugnato» le disposizioni del tribunale che oggi contesta. Anche se in realtà Guariniello è tornato a chiedere 20 anni di carcere in luogo dei 16 comminati in primo grado. Di Amato ha anche nuovamente sostenuto che «il gruppo svizzero ha trasferito in Italia in 10 anni oltre 75 miliardi, senza ricevere utili, e che una parte cospicua di quella somma e stata spesa in sicurezza», contestando l’interpretazione «di un imprenditore che avrebbe anteposto a tutto il profitto. Si tratta di una suggestione non vera, perché smentita dai fatti. «La condanna potrebbe essere solo il frutto di una manipolazione del diritto e, perciò, potrebbe conseguire solo ad una lesione del principio di legalità». Ma Bruno Pesce ricorda - a proposito della condotta dello svizzero e della imputazione del dolo - «l’attività di frantumazione dei rottami all’aperto senza precauzioni, l’abbandono della fabbrica al degrado con grandi quantitativi di amianto sfuso all’interno, le regalie degli scarti proseguite anche in quel periodo; e poi il fatto che abbia avuto ben chiaro che il problema grosso era la bonifica e non sia mai intervenuto. Schmidheiny ha sempre saputo tutto, anzi era il primo a sapere le cose a livello internazionale e a livello locale, ma non ha mai fatto nulla...». Mentre sulla vicenda De Cartier invoca un rinnovato impegnodopo la morte dell’imputato belga: «A fronte di maggiori difficoltà - dice - dobbiamo intensificare l’impegno, perché la risposta non può che essere la strada della giustizia. Non possiamo lasciar passare una situazione come questa, altrimenti si potrebbe pensare che si possono compiere cose di questo genere. «Per questo - conclude Pesce - chiediamo il sostegno delle istituzioni sia per ottenere il pagamento delle provvisionali da parte dello svizzero, sia per le cause civili nei confronti di Etex».

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