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  • 25 marzo 2021
  • Casale Monferrato

25 marzo, il "Dantedì"

Tra Purgatorio e Paradiso, le figure di Guglielmo VII Aleramico e Ubertino da Casale nella Divina Commedia

E il nuovo gelso dal nome "Dante"...

Dante Alighieri. Disegno di Max Ramezzana

Quest’anno ricorre il VII centenario della morte di Dante, avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna, dove viveva sotto la protezione del podestà Guido Novello da Polenta, nipote di Francesca da Rimini. Lo scorso anno il Consiglio dei Ministri ha deciso di dedicargli la giornata nazionale del «Dantedì, nel ricordo della morte del Sommo Poeta, simbolo della cultura e della lingua italiana. Ma essendo ignoto il giorno preciso della nascita ed escluso quello della scomparsa, la scelta degli studiosi è caduta sulla data immaginaria dello smarrimento nella «selva oscura», che probabilmente ebbe luogo il 25 marzo del 1300. Anche il nostro bisettimanale ha pensato di ricordare la presenza nella «Divina Commedia» di due importanti personaggi della storia monferrina: il marchese di Monferrato Guglielmo VII Aleramico e il frate francescano Ubertino da Casale.

Guglielmo VII nel Purgatorio dantesco

Del marchese Guglielmo VII, unico figlio maschio di Bonifacio II Aleramico e di Margherita di Savoia, la figlia del conte Amedeo IV sposata a Chivasso nel dicembre 1235, è incerta la data di nascita. Alla morte del padre, avvenuta a Moncalvo nel giugno del 1253, egli diventa erede sotto la tutela della madre Margherita (forte dell’influenza sabauda), come reggente del marchesato per il figlio fino al raggiungimento della maggiore età. Pochi anni dopo, nel marzo 1258, venne celebrato il matrimonio tra Guglielmo e Isabella de Clare, la figlia del conte Riccardo di Gloucester: un atto politico in linea con le aspirazioni imperiali allora perseguite da Riccardo d'Inghilterra. Rimasto vedovo, il marchese sposò in seconde nozze nel 1271 Beatrice, la figlia del re Alfonso X di Castiglia. Da lei ebbe Iolanda (o Violante), la sorella dell’ultimo marchese aleramico Giovanni e seconda moglie dell’imperatore di Bisanzio Andronico II Paleologo. Ribattezzata col nome greco di Irene, la basilissa fu garante, tramite il secondogenito Teodoro, del passaggio del Monferrato nel 1306 alla dinastia paleologa. Guglielmo ebbe un ruolo da protagonista nell’Italia settentrionale, come signore o capitano di guerra di importanti centri, tra cui Casale, Alessandria e Asti, Brescia, Cremona, Milano, Pavia, Lodi e Como, Torino, Ivrea, Novara e Vercelli, Genova, Mantova, Verona ed altri. Con Alessandria ebbe sempre un rapporto conflittuale, animato dal pressante desiderio di occupare la città che tagliava in due il marchesato di Monferrato. Catturato dagli alessandrini e rinchiuso in una gabbia, morì di stenti nel febbraio 1292 e fu sepolto accanto al padre nella chiesa di Santa Maria dell’abbazia cistercense di Lucedio, fondata nel 1123 dal marchese Ranieri I di Monferrato. Il marchese Guglielmo VII è forse lo stesso «buon marchese di Monferrato» ricordato da Dante nel «Convivio» (IV, 11, 14) e poi nella seconda cantica del Purgatorio, che segue il regno dell’oltretomba, come luogo di passaggio delle anime non condannate, ma non ancora pronte per la contemplazione di Dio nei cieli. Posto tra i condottieri nella «Valletta dei principi negligenti», il «Gran Marchese» ebbe un ruolo di primo piano tra i maggiori protagonisti del suo tempo e la sua immortalità è dovuta ai quattro efficaci versi della Divina Commedia: «Quel che più basso tra costor s’atterra, / guardando in suso, è Guiglielmo marchese, / per cui e Alessandria e la sua guerra / fa pianger Monferrato e Canavese» (Purgatorio VII, 133-136). E non dobbiamo dimenticare che per la prima volta il poema venne pubblicato a Venezia nel 1555, col titolo «La Divina Comedia di Dante», dallo stampatore trinese Giovanni Gabriele Giolito de’ Ferrari, titolare col padre Giovanni e i fratelli della fiorente «Libreria della Fenice» nei pressi del ponte di Rialto, nota per l’inconfondibile marca tipografica con la creatura mitologica che prende il volo tra lingue di fuoco sprigionate dalla sfera alata.

Ubertino da Casale anche ne "Il nome della rosa"

Nato intorno alla metà del Milleduecento nel Borgo di S. Evasio, appartenente alla diocesi di Vercelli ma dipendente dalla provincia francescana di Genova, è uno dei personaggi del fortunato romanzo «Il nome della rosa» di Umberto Eco, scomparso a Milano nel febbraio 2016. Appartenne alla famiglia cittadina «de Hylia», ricordata nelle carte dell’Archivio capitolare di Casale Monferrato con diversi esponenti, tra cui un certo «Obertus» che nel 1312 fu rettore del comune di Casale. Quattordicenne iniziò la formazione presso i frati minori di Casale, poi compiuto il noviziato e perfezionati gli studi a Parigi, fu lettore presso lo studio fiorentino nel Convento di Santa Croce, dove divenne uno dei principali esponenti della corrente francescana degli «Spirituali». Denunciato nei primi anni del Trecento, fu convocato a Roma da papa Benedetto XI che gli impose il silenzio e il forzato ritiro nel convento della Verna, dove incontrò il fratello minore Giovanni, anch’egli francescano. Frutto della meditazione sul monte del miracolo delle Stimmate di S. Francesco, compose di getto in pochi mesi, da marzo a settembre del 1305, la prima versione dell’opera intitolata «Arbor vitae crucifixae Jesu Christi». La vita di Cristo, evocata dal titolo, viene presentata come albero, radice, tronco, rami, vetta e frutti, ogni elemento richiama i cinque libri. Dal manoscritto di Ubertino, che ebbe ampia diffusione non solo in Italia tra i sostenitori della corrente francescana più rigorista, derivarono diverse edizioni, a partire dall’incunabulo stampato a Venezia nel 1485 da Andrea Bonetti di Pavia, di cui si conserva una copia nella Biblioteca del Seminario di Casale. Nella cantica del Paradiso, nel cielo del Sole, Dante esprime, con le parole di S. Bonaventura da Bagnoregio, un duro giudizio per il rigore nella fedeltà alla regola francescana del frate casalese a capo degli «Spirituali», posto sullo stesso piano del rilassato Matteo d'Acquasparta, la guida dei «Conventuali», con questi versi: «Ben dico, chi cercasse foglio a foglio / nostro volume, ancor troveria carta / u’ leggerebbe ‘I’ mi son quel ch’i’ soglio’ / ma non fia da Casal né d'Acquasparta, / là onde vegnon tali alla scrittura, / ch'uno la fugge, e l'altro la coarta» (Par. XII, 121-126). Nel 2016 le classi IIIA e IB del Liceo classico Balbo di Casale hanno pensato di collocare nei giardini di quella che un tempo era la piazza Dante una installazione con i versi della «Divina Commedia» relativi ai due personaggi monferrini. E in occasione del «Dantedì» dello scorso anno, la targa è stata restaurata a cura dell’Istituto Superiore Balbo. È un invito a riscoprire il poema dantesco ancor oggi leggibile nella lingua originale, a rivedere un capolavoro vivo e attuale che ha segnato in profondità l’identità culturale dell’Italia e a condividerlo con gli altri, nella speranza di iniziare presto un nuovo cammino di libertà.

Il nuovo gelso in "piazza Dante"

Si chiamerà Dante. È il nome scelto dai cittadini casalesi per il nuovo gelso piantato in piazza Martiri della Libertà (meglio nota, appunto, come piazza Dante) che Energica ha voluto regalare alla città quale “erede” di Gino che «dopo 70 anni, “ha ceduto il passo”». «Sarà un piacere veder crescere Dante, simbolo di una ripresa che tutti quanti auguriamo al nostro territorio», commentano dalla società.


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Ramona Bruno

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