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Interviene l'avvocato Riverditi: «Eternit-bis una sconfitta? Non credo»

Pubblichiamo l’intervento di Maurizio Riverditi, avvocato cassazionista, professore di Diritto Penale al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino, fra i patrocinatori dell’Associazione dei Familiari e delle Vittime dell’amianto di Casale Monferrato in Corte Costituzionale e della CGIL nazionale relativamente alla vicenda Eternit Bis. Dai primi commenti sulla decisione del GUP di Torino, dott.ssa Bompieri, che ha “derubricato” la contestazione nei confronti di Schmidheiny da omicidio doloso a omicidio colposo pluriaggravato, sembra che il magnate svizzero abbia ottenuto una “grossa vittoria”, come hanno anche affermato i suoi difensori. Certo: fino a ieri il responsabile delle morti che hanno segnato e continuano a segnare il destino dei luoghi dove si è lavorato l’amianto in modo dissennato rischiava (quantomeno sulla carta) una condanna alla reclusione “non inferiore ad anni ventuno” (come recita l’articolo 575 del codice penale) o addirittura l’ergastolo (come previsto dagli articoli 576 e 577 del codice penale); mentre oggi si trova, d’un colpo, a confrontarsi con la minaccia di una sanzione che, per ciascun processo (e, da quanto è dato apprendere dal dispositivo del decreto emesso dal GUP, di processi ne saranno celebrati almeno tre), difficilmente supererà i sette anni e mezzo (ma su questo si dovrà attendere di leggere non solo la “riqualificazione” operata dal GUP, ma anche i capi di imputazione che verranno riscritti dai Pubblici Ministeri di Vercelli e Napoli). Tuttavia, prim’ancora di esprimere un giudizio, sereno, sulle sorti (per vero non ancora concluse) del processo Eternit bis, occorre anzitutto non dimenticare che questa decisione mette (speriamo per sempre) la parola fine al fantasma della violazione del principio del bis in idem: dando seguito a quanto chiaramente affermato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 200/2016, si è sancito che Schmidheiny può (e deve) essere riprocessato per le morti che ha causato, contrariamente a quanto eccepito dai suoi avvocati. Anzi: dovrà risponderne in (almeno) tre distinti processi a cui, forse, si aggiungeranno quelli che verranno celebrati per le morti degli ultimi tempi e, purtroppo, per quelle che ancora si verificheranno. Davvero, dunque, la decisione del GUP di Torino rappresenta una sconfitta? Personalmente non credo. Se questa decisione fosse ingiusta sol perché ha mutato in colposa l’originaria imputazione a titolo di dolo, allora dovrebbero essere considerate tali anche tutte quelle sentenze (e, a quanto mi risulta, sono la totalità) che hanno sancito la responsabilità a titolo di colpa per gli infortuni sul lavoro, comprese quelle “asbestocorrelate”, che prima d’ora sono state salutate come altrettante “vittorie” (dalle parti civili, ndr). Piuttosto, v’è da chiedersi se l’imputazione per omicidio doloso fosse, sin dall’inizio, quella più idonea a confrontarsi con l’addebito mosso nei confronti di Schmidheiny. Ovviamente non si tratta di una valutazione da compiere in termini “morali”, ma esclusivamente in chiave penalistica, avendo presente che la Cassazione, nel noto processo Thyssen, ha già espresso il proprio convincimento circa l’anomalia di un’imputazione a titolo di dolo per gli infortuni sul lavoro, ribadendo e chiarendo un concetto che da sempre accompagna le sorti di questo tipo di processi. Pur avendo presente le (non poche) differenze della vicenda Eternit rispetto al caso Thyssen, che, a priori, potevano avallare l’accusa per omicidio doloso nei confronti di Schmidheiny, occorre considerare che il rischio che aleggiava su questo processo era che si celebrassero tre gradi di giudizio per sentir dire dalla Suprema Corte quello che, oggi, ha sancito il GUP di Torino; con la differenza che ciò sarebbe potuto accadere tra molti anni, quando ormai sarebbe maturata la prescrizione per un numero certamente maggiore di casi d’omicidio. Se così è (e mi sembra difficile negarlo), al più si può ritenere che ad essere “fuori dal coro” non sia l’attuale “riqualificazione” operata dal GUP di Torino (che, anzi, si pone in linea con un orientamento assolutamente collaudato), ma, forse, l’originaria imputazione per omicidio doloso. Resta, indubbiamente, l’amarezza di sapere che, per effetto di questa decisione, molte “morti d’amianto” di cui era chiamato a rispondere Schmidheiny non troveranno il giusto ristoro perché nei loro confronti si è nuovamente abbattuta la scure della prescrizione (che, nel caso di omicidio doloso pluriaggravato non sarebbe mai maturata). Ma dire che la causa di ciò è da attribuire alla decisione del GUP di Torino sarebbe come affermare che la causa della malattia è di chi ne effettua la diagnosi e non delle circostanze che l’hanno scatenata. C’è da sperare, a questo punto, che i nuovi processi siano celebrati in tempi rapidi, così da evitare che la prescrizione travolga nel nulla le aspettative di giustizia che, ancora oggi, animano questa vicenda (umana e) giudiziaria.

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Michele Castagnone

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