Articolo »

Zoofavola ermetica e allusiva, trova tanti riferimenti in letteratura

Battibecco da cortile e confronto fra classi sociali

L’Esopo monferrino Zoofavole dialettali raccolte e scongelate, tradotte e commentate a cura di Pietro Giordano Odalengi (26)

Dami dal sgnur e menu cunfidensa,ché mi discend da ‘na capitulin-a.

Ansi, l’è mei ch’man daghi dl’ecelensa,dato che ti t’è mmachi ‘na galin-a.La piüma,

ch’l’ha ‘l cürà sla scrivania,a l’è ‘na piüma d’oca e l’è la mia.

M’num fa se i me uchin at ciamu mama:mi sun pi tant che ti: sun la madama”.

Ma la galin-a ai fa: “Dindlo tra nui,

ti t’sa che mi mang sempar i vansrui,che la padrun-a m’dà,

rasciand i piat?E ben: mi ‘l salam d’oca m’pias da mat.

”(variante)Stuffa d’tücc cui laudamus, la galin-aai dis: “D’acordi, suma nent sureli:ti t’va finì ‘nt in fur, mi ‘nt ‘na ramin-a.Ma, e s’as truveisu ‘nt al madesmi bueli?”.

 

L’oca e la gallina(traduzione)

Dammi del lei e meno confidenza, poi-ché io discendo da una di quelle oche capitoline che per prime dettero l’allarme quando Roma venne invasa dai Galli. An-zi, dovresti chiamarmi Eccellenza, dato che tu sei soltanto una gallina.Hai presente la penna d’oca che c’è sul-la scrivania del curato? Bene, quella è una delle mie penne. E non m’importa granché se i miei figlioli ti chiamano mamma: io valgo più di te, perché io sono la Signora!”.Ma la gallina le risponde: “Detto tra noi, lo sai che io mangio sempre gli avanzi che la padrona mi getta raschiando i piatti (sottinteso che contengono an-che ritagli di salame)? Ebbene, a me il salame d’oca piace da matti”.Variante - Stanca di tutte quelle autoin-censazioni da parte dell’oca, la gallina le dice: “D’accordo, noi non possiamo certo dirci sorelle. E non abbiamo nep-pure lo stesso destino, visto che tu finirai arrostita in un forno e io bollita in una pentola. Tuttavia potremmo ritrovarci affratellate nel medesimo intestino di chi ci avrà mangiate entrambe”.

 

Il commento
 
La concisione del testo, che lascia ine-spressi troppi particolari, rende questa favola un tantino ermetica ed allusi-va. Intanto quando l’oca rivendica la propria stirpe “capitolina” si potreb-be pensare a un gioco di parole tra la gallina e i Galli (Celti). Oltre a ciò, va ricordato che le massaie d’una volta non permettevano alle oche di covare le proprie uova perché, durante le set-timane della cova, avrebbero perduto alcuni chili di carne molto ricercata. Affidavano l’incombenza alle galline. Succedeva così che, per effetto del “lo-renzano” imprinting, i piccoli appena usciti dall’uovo considerassero come madre la chioccia. Ed è qui che l’au-tore potrebbe aver simboleggiato uno spaccato del costume d’epoca: alcune signore dell’alta borghesia, per timore di rovinarsi la linea del seno, usavano “dare a balia” il proprio neonato.La scelta cadeva di solito su di una gio-vane e robusta popolana. Quella poi, avendo bisogno di guadagnare, una volta finito l’allattamento, continuava ad accudire per alcune ore al giorno, in qualità di “balia asciutta”.Era quindi naturale che il bambino le si affezionasse al punto da far ingelosire la madre vera, che poteva talvolta rivalersi facendo pesare la superiorità economi-ca e sociale della propria classe di ap-partenenza. Qualora poi, nella disputa tra l’oca e la gallina, si volesse cercare un modello classico, un riferimento potreb-be trovarsi nella favola n. 24, del quarto volume delle favole di Fedro, nell’edi-zione sansoniana del 1904. In un aspro diverbio con la formica, la mosca vanta la propria presunta superiorità perché L’illustrazionele succede di posarsi per prima sulle vittime sacrificali nel tempio, sulle teste dei re e sulle labbra delle belle donne. La formica le risponde che tutto ciò è vero, ma da ospite indesiderata e fastidiosa, da scacciare e mai da invitare.Ma è la variante conclusiva che conduce a rintracciare altri modelli. Intanto l’ac-cenno, sgradevole anziché no, all’inte-stino come ultimo ritrovo comune per l’oca e la gallina, ci riporta all’ultimo saluto, tra l’ironico e il sentimentale, che si scambiano un porco e un asino. Quest’ultimo piange disperato, veden-do il suo amico portato al macello. Ma il maiale lo consola: “Via, non far lo sce-mo! / Bisogna esser filosofi, bisogna! / Vedrai che un giorno poi ci troveremo / In qualche mortadella di Bologna”. Così, pressapoco, Trilussa.Altri esempi, un po’ troppo ributtanti ma pertinenti, in un epigramma del francese Pier Patrix come nel “Dialogo sulla nobiltà” di Giuseppe Parini. In en-trambe le opere, un nobile e un plebeo sono destinati, per un caso singolare, a marcire nella medesima fossa.Infine, sulla presunta superiorità di chi, in mancanza di prove personali, ostenta soltanto i propri illustri ante-nati, citerò il “Saggio contro l’uomo” dell’inglese A. Pope, nonché (e poi basta) la risposta che il bolognese Eustachio Manfredi inviò a chi gli aveva fatto omaggio di un libro sull’aristocrazia: “O nobiltà, com’è negletta e vile / l’origin tua, se in te suoi rai non spande / virtù, che sola può farti gentile”.Mi auguro che tutto quanto detto non sembri sfoggio di erudizione posticcia e occasionale. L’intento è quello di capire se l’ignoto autore della favola, attraverso un apparente battibecco da basso cortile, abbia inteso simboleggiare un confronto-scontro fra due classi sociali.Pietro Giordano OdalengiDocumento preparato il giorno 20/06/2023 alle ore 16:03:39 per Alessandro Fusinato.Copyright © 2023 Editrice Il Monferrato srl - Tutti i diritti riservati.È vietata la distribuzione di questo documento senza l'esplicita autorizzazione dell'editore.
 
 

 


Profili monferrini

Questa settimana su "Il Monferrato"

Michele Castagnone

Michele Castagnone
Cerca nell’archivio dei profili dal 1871!