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RICERCA 7 / Mesotelioma pleurico: individuati a Pisa i nove geni “anomali”

Proseguiamo la rubrica su amianto e ricerca scientifica esaminando gli studi della equipe del professor Stefano Landi del CESME ( Centro Polidisciplinare per la Ricerca, la Prevenzione, la Diagnosi e il Trattamento del Mesotelioma Pleurico Maligno e delle altre Neoplasie Amianto Correlate) della Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. Sono nove i geni sovente sovraespressi dal mesotelioma pleurico, ma ce ne sono altri dodici che sono presenti in modo più che frequente (“statisticamente significativo”), e ancora altri sette che comunque dimostrano di avere assai spesso un qualche ruolo. Sono i dati che emergono dalla lunga ricerca svolta - prima incrociando i dati accumulati attraverso i tanti studi specifici già realizzati in passato e poi attraverso una paziente indagine di laboratorio - all’Università di Pisa dall’equipe guidata dal professor Stefano Landi del Dipartimento di Biologia. Ricerche che hanno portato alla pubblicazione di uno studio scientifico che verrà ospitato a breve dalla rivista internazionale “Mutation Research” specializzata sui temi della mutagenesi, l’insieme dei processi chimico-fisici che portano a una mutazione. Ed è proprio Stefano Landi a illustrarci il lungo lavoro condotto per capire un po’ di più su questo tumore raro. «Volevamo identificare una serie di geni che potessero diventare bersagli terapeutici o indicatori di malattia, voglio dire di diagnosi o di prognosi. E la prima cosa è capire quali sono i geni implicati nella patologia». A dire il vero - spiega Landi - il bersaglio vero sono le proteine che quei geni esprimono e che possono avere un ruolo importante nello sviluppo del tumore, ma la ricerca in prima battuta lavora sulla individuazione dei geni “sovraespressi”, per poi occuparsi delle proteine che questi geni producono, ed eventualmente elaborare molecole in grado di combatterne gli effetti. L’equipe di Landi aveva già pubblicato uno studio che indicava circa 160 geni che - nella letteratura scientifica - risultavano sovraregolati. La fase successiva - spiega - «è stata validarli uno per uno con tecniche più precise», attraverso il confronto su diverse colture cellulari, impiegando tessuti di mesotelioma e altri sani come termine di confronto. Ben 59 geni - dice il ricercatore - mostravano una deregolazione rispetto ai tessuti di pleura senza mesotelioma. È poi stato fatto un ulteriore e più severo “filtraggio” con lo scopo di restringere il più possibile il campo a quelli che, con maggiore probabilità, hanno un ruolo effettivo nello sviluppo della malattia. Ne sono risultati - appunto - 9 deregolati in due linee cellulari di mesotelioma maligno (rispetto al tessuto sano di controllo). Altri 12 geni sono risultati deregolati in almeno una delle due linee cellulari. Ma «ce n’è un’altra serie che non andrebbe scartata a priori, perché il cancro è una malattia eterogenea», dice Landi. «Almeno altri sette sono degni di attenzione in quanto risultato comunque alterati. Il lavoro che si sta svolgendo ora è utilizzare una metodologia di “silenziamento” che permette di spegnere l’espressione di un gene alla volta; quelli up-regolati, ovviamente, che hanno un comportamento anomalo rispetto ai tessuti sani. E vedere così che succede... Ma gli sviluppi di questo tipo di studi quali potrebbero essere? A febbraio del 2013 avevamo illustrato un altro lavoro dell’equipe dello stesso Landi che riguardava la mesotelina, a cui ha fatto seguito una sperimentazione clinica che è attualmente in “Fase 2” (26 centri hanno arruolato 89 pazienti) con un «anticorpo monoclonale specifico contro la mesotelina, che la nostra ricerca aveva, appunto, indicato come target terapeutico». Con un farmaco cioè (l’Amatuximab) in grado di neutralizzarne o comunque mitigarne fortemente gli effetti. Insomma lo schema è quello e si spera che i test effettuati da Landi sui geni “anomali” silenziandoli a uno a uno e anche e soprattutto a gruppi e con diverse combinazioni - spiega il ricercatore - possano indicare nuovi bersagli terapeutici. «Possibilmente molteplici, perché si è capito che se non si interviene su più fattori è difficile bloccare il tumore», conclude il ricercatore.

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Carlotta Prete

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