A Morano tra il sindaco di sinistra Carlo Gloria ed il parroco don Mellana non correva molta simpatia, pertanto i rapporti non erano improntati a reciproca cordialità. Le contrarietà che sorgevano fra la maggioranza e la minoranza scudocrociata erano immediatamente e puntualmente prese di petto dal combattivo prevosto. Non era passato molto tempo dalle elezioni del 1948 e i comunisti, avendo vinto alla grande, avevano inscenato, banda in testa, una colorita manifestazione di giubilo di fronte alla casa parrocchiale”.
Così scrive Gian Carlo Vanni nel recente volume “S-ciau… piuma ‘cma la ven…” e rievocando quegli anni aggiunge che la provocazione era troppo grande per essere dimenticata dal focoso parroco acquistato a Casale un giradischi, fece installare sul campanile un grande altoparlante. Pochi giorni il quartiere del Borgoratto, dove abitava il sindaco, era assordato di brani musicali ad alto volume alternati al “Bianco fiore simbol d’amore”.
E qualcuno sosteneva che, deponendo le uova, le galline del popoloso rione invece del solito “coccodé” intonavano, a forza di sentirlo, l’inno della Democrazia Cristiana. Ogni occasione era buona per ingaggiare qualche battaglia, ma poco dopo a causa delle gravi condizioni di salute del sindaco, il parroco fece sospendere ogni suono per rispetto verso un uomo di soli 45 anni che si stava spegnendo. Al solenne funerale, celebrato da tre sacerdoti, prese parte tutta la comunità, come ricorda Gian Carlo Vanni. “Quando la vedova, signora Fiorina, si recò in parrocchia per regolarizzare le spese, precisò che non era assolutamente intenzionata a sostenere l’onere di un così solenne rito funebre, ma il prevosto ribattè che di ciò non avrebbe dovuto proprio preoccuparsi: si trattava di un atto dovuto dalla comunità parrocchiale ad un uomo onesto e leale”. La cosa più sorprendente si verificò due anni dopo, nel 1951, quando Fiorina fu informata che don Mellana stava male e voleva incontrare suo figlio Nino. Egli si recò prontamente al capezzale del parroco che «gli fece cenno di avvicinarsi e gli disse con un filo di voce: “Nino, non potendo più farlo con tuo padre, chiedo scusa a te”. Non aggiunse altro e chiuse gli occhi. Quel giovane, appena diciottenne, con il cuore in tumulto, lasciò la stanza e, senza proferire parola, si avviò verso casa». E poco dopo aggiunge Gian Carlo Vanni: «Giunto all’inizio del Borgoratto, appena dietro l’abside della chiesa, venne avvolto da un silenzio irreale e dalle ombre di quella secolare contrada. Una nebbia leggera e umida rendeva ancora più tangibile il senso di isolamento e di solitudine. In quella particolare atmosfera percepì la presenza di suo padre. Fermandosi mormorò: “Papà, hai sentito?”. Non colse risposta, ma in compenso gli parve di vedere il volto sereno di suo padre che gli sorrideva e subito le lacrime gli offuscarono la vista...». Insomma una felice rievocazione di quella “Morano che non c’è più, raccontata con sapore guareschiano” (nel centenario della nascita dello scrittore), ma di cui restano belle “pagine che parlano di emozioni, ricordi e poesia in quel piccolo mondo - come ricorda nella prefazione Marilisa Barbano - che ci è così inesprimibilmente caro”.
Dionigi Roggero
MORANO TOUR
Il mio luogo del cuore, ci dice Gian Carlo Vanni, è la chiesa di S. Pietro sulla statale...”. E a San Pietro ci diamo appuntamento nella speranza che arrivi la chiave del vecchio portoncino per dare un’occhiata agli affreschi. Fermata vana, la chiave non l’ha neanche il parroco.... Pazienza, ci guadagniamo un caffè nella vicina “villa Vanni” e due prime chiacchiere con l’intimidito scrittore (poi conoscendoci si “sgelerà”) di “S-ciau… piuma ‘cma la ven…”, terza fatica dopo “Smia jer” e “Par nen perdi la smens”. Vanni, quando può, torna nella “sua” Morano per disintossicarsi da Milano (abita sui Navigli oggi luogo vip ma molto rumoroso) e da un lavoro che lo aveva portato a girare il mondo. Dai suoi quadri e dai suoi libri emerge un grande interesse per la storia, soprattutto quella locale, primo maestro è stato lo zio Bernardo che fin da bambino gli svelava che cosa si nascondeva dietro i dipinti poi don Mellana di cui sfoglia con amore il diario del 1944; altro “maestro” Alfredo Ferrari, non dimenticato anima della Famija Muraneisa e nel rievocarlo ci commuoviamo un po’ tutti. Usciamo sfiorando il mulino Boccardi (ancora ancora auguri per i 50 anni di matrimonio celebrati nella nostracrociera) e la stazione poco prima Due Sture il nostro ci apre la chiesa della Madonnina del Ceppo, ci ricordavamo la scritta gotica in facciata non l’affresco nella navata destra, il più antico dipinto moranese, forse del secolo XIII, una Madonna col Bambino dai bellissimi lineamenti.
Un’altra sorpresa (pensiamo sempre di conoscere ormai tutto del Monferrato) nel centro del paese, in via Gallo 22, a casa Rossino-Bison, un cortile interno (protetto da cani che sembran feroci) svela una altana lignea (rarissima in Monferrato , ci ricorda Montemagno) e un affresco di buona fattura, una Madonna col Bambino, diremmo del Cinquecento. Lo fotografiamo da lontano ripromettendoci di tornare avvertendo i proprietari.
La passeggiata moranese ci porta davanti alla chiesa della Trinità (“I confratelli avevano la cappa rossa, quelli di San Pietro bianca”) per arrivare alla parrocchiale. La grande chiesa è impreziosita in facciata dagli angeli dipinti dal Micheletti che si ispirò a fanciulli locali, fanciulli che oggi hanno settantanni, mentre “usò” il sacrestano come modello per San Giovanni.
Un saluto veloce al parroco don Borello, il rimpianto di alcuni quadri che non ci sono più, e delle vetrate demolite dall’esplosione polveriera nel 1951-52 e nel loro ricordo con Vanni suoniamo in sacrestia la campana datata 1780.
Luigi Angelino
FOTO. L'affresco della Madonna del Ceppo (Madonnina, verso Due Sture), l'interno della parrocchiale e la campanella "datata" della sacrestia