Muzio al ministro Balduzzi: «Lo Stato faccia la sua parte ma non ceda ai ricatti»
di Angelo Muzio, già parlamentare della Repubblica
Gentile direttore,
aprendo il 2012 vorrei sottolineare che vent’anni orsono, ed esattamente il 13 aprile 1992, veniva pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, la legge 257 che per la prima volta in Italia, proibiva l’estrazione, l’esportazione, la produzione e la commercializzazione delle produzioni contenenti amianto. Quella legge ebbe come fondamentale ispiratore il Sen. Lucio Libertini, Senatore dell’allora Collegio elettorale Casale Chivasso che fin dal lontano 1988 con i colleghi Chiaromonte, Cardinale Gianotti, Baiardi, Nespolo, presentava il 21.12.1988 il disegno di legge: Norme per la prevenzione, decontaminazione e protezione degli effetti dell’inquinamento da amianto e per la riconversione delle produzioni a base di amianto.
Ripercorrendo la relazione d’accompagno ritrovo tra le motivazioni: “ E’ possibile invece, con certezza affermare che, oltre ai tumori polmonari sono considerati neoplasie “specifiche” causate dall’amianto i mesoteliomi della pleura e del peritoneo. Per avere un’idea della dimensione dei casi di tumori provocati dall’asbesto occorre sapere che un’indagine epidemiologica, condotta da un’ èquipe di esperti dell’Università di Torino e della USL n. 76 di Casale Monferrato, ha messo in evidenza che tra i 3.367 dipendenti impiegati nello stabilimento eternit tra il 1950 e il 1986 si è verificato il 74 per cento in più di tumori rispetto agli “attesi” per gli uomini e il 145 per cento in più per le donne e in particolare per il mesotelioma si sono avuti 38 casi per gli uomini rispetto ai 2 “attesi” e 17 casi per le donne rispetto all’atteso 0,6.
Peraltro, l’aver trovato patologie tumorali specifiche (mesoteliomi) in non addetti, cioè in famigliari di esposti e in abitanti in zone circostanti gli insediamenti produttivi, rafforza l’esigenza di prevenire le possibili esposizioni, anche indirette”.
E ancora come si può ripercorrere dal resoconto stenografico del 25 settembre 1990 con l’interpellanza 2-00057, Libertini rivolgendosi all’allora Ministro dell’Ambiente Giorgio Ruffolo “che cosa volete pensino dello Stato, i cittadini di Casale Monferrato che si vedono negata la giustizia?”
Il Sen. Libertini ed il Sen. Triglia intervennero come ricorda Ruffolo sulle necessità sottoposte al Ministro della Giustizia Vassalli per la celebrazione a Casale del più grande processo italiano di strage sul lavoro e ambientale.
Quella legge ebbe grande sostegno dalla Camera del Lavoro di Casale, a responsabilità di B. Pesce, del Patronato sindacale con Nicola Pondrano che anticiparono una battaglia di civiltà, accompagnando la decisione di Riccardo Coppo nel 1987 Sindaco di Casale, nel bandire l’utilizzo dell’amianto.
Si era a fine legislatura ed il Presidente Cossiga, rinviò con una delle sue picconate la legge alle Camere ormai sciolte. Allora Libertini titolò un suo articolo per la stampa: “Una squallida vicenda del Palazzo”.
Solo la pressione dei sindacati e le manifestazioni avanti Palazzo Madama e Montecitorio di molti lavoratori in particolare di Casale, consentì la promulgazione della legge, lì i padroni dell’amianto dovettero arrendersi, la mobilitazione aveva sconfitto la loro turbativa arrivata persino alle soglie Presidenza della Repubblica, quella che Libertini definì “una squallida vicenda di un’Italia dominata da gruppi di potere”.
A distanza di 2 anni dalla legge, nel 1994 con l’amico Claudio Percivalle, deputato della Lega Nord ed altri deputati, chiedemmo con un atto di indirizzo nella Commissione ambiente e Territorio, che Casale fosse inserita nella cosiddetta legge Seveso, per poter beneficiare di risorse certe per la bonifica dei siti inquinati, era ciò che chiedeva la città con il suo Sindaco Riccardo Coppo e Paolo Ferraris Assessore Regionale.
I primi 20 miliardi di lire, vennero stanziati, così citava il decreto legge, “solo per l’area industriale Eternit dismessa” (molto limitativo) e ancora con Percivalle ed altri con un emendamento, esattamente il 7/00035, trasformammo quel testo nel seguente: “Aree contaminate da attività industriali nel territorio di Casale Monferrato e nei territori facenti parte dell’USL 76”.
Passati 60 giorni di vigenza, quel decreto guarda caso non venne convertito in legge, dovette essere reiterato nuovamente e cominciò anche per quella via, l’inizio dell’impegno dello Stato per le bonifiche dell’amianto.
Ma ciò fu possibile esclusivamente perché nella città, pulsava da tempo un cuore nuovo e rinnovato per una battaglia giusta degli amministratori della città, dei cittadini, dei lavoratori e delle loro famiglie, delle Organizzazioni sindacali ed ambientaliste, dei parlamentari eletti nel territorio, così come il mondo scientifico, mobilitazione che da locale è diventata nazionale, superando ostacoli e difficoltà con sacrificio e passione, ma con una grande speranza, di avere giustizia dei propri morti, di avere giustizia della propria condizione, avere giustizia per quelli che verranno a giudicarci per ciò che dovevamo fare per loro.
Una squallida vicenda di Palazzo la chiamò Libertini 20 anni fa. E ci risiamo.
Dietro le quinte (anche non tanto dietro), i soliti gruppi di potere come allora non cedono il passo a che venga fatta giustizia, e senza tante finezze, dispongono dei tempi e del quantum per il ritiro della parte civile del Comune di Casale e degli altri comuni casalesi.
E prima che il gallo abbia cantato nemmeno una volta, ecco l’atto di indirizzo, votato da una maggioranza sorda, al grido di una città che viene umiliata da un’offerta irricevibile ancor prima che la bilancia della giustizia abbia pesato lutti, sofferenze, drammi, bonifiche e ricerche, né per il passato, né per l’oggi, né per il futuro, come peraltro lo stesso Dott. Guerrera sul vostro bisettimanale solleva come questione di colpa grave nel caso di un’amministrazione comunale; vista una delle premesse della delibera n° 56 del Consiglio Comunale del 16 dicembre scorso che così recita: “a condizione che il Comune proceda alla revoca della costituzione di parte civile nel procedimento penale in essere ed alla rinuncia ad ogni altro diritto e/o azione anche riguardo ad eventuali ulteriori procedimenti”.
Ha ben fatto il Ministro della Salute, l’alessandrino Renato Balduzzi merito costituzionalista, a intervenire sul finire d’anno a fronte della decisione dell’amministrazione comunale e ancora con l’incontro del 1° gennaio per cogliere con un atto generoso, quel filo rotto tra la città e l’amministrazione comunale come fa un uomo dello Stato.
Signor Ministro però con la franchezza di sempre, con stima ed il rispetto per il Suo Alto Ufficio, come non è possibile accettare il ricatto dei 18 milioni di euro per la parte civile non è possibile nessun ricatto “o ce li dà lo Stato o li accettiamo dallo svizzero”.
Lo Stato deve fare la sua parte su bonifiche e ricerca, il Suo impegno mi è parso chiaro, continuando, se pur in questi tempi difficili, a non lesinare nessuna azione per ricercare ogni utile sforzo per una città devastata dall’amianto, ma con la stessa franchezza nessun cedimento, non può, non deve, nessun amministratore pubblico può dire “se lo Stato non c’è, accetto la transazione”.
Il Comune non è un privato cittadino che ha di fronte il lutto, la sofferenza, il respiro delle sue condizioni umane ed intime.
Il Comune è innanzitutto comunità, è interesse per il bene comune, città, in ogni sua parte, è difesa del debole, è soggetto attivo di solidarietà, e difensore di ingiustizia per i soggetti più deboli, è forma di resistenza sociale contro l’ingiustizia, è fonte di coesione civica nella sua forma di rappresentanza e per la sua parte fonte di diritto a tutela dei cittadini contro ogni atto di arroganza da poteri economici e/o di interesse privato.
Nel buio di questi ultimi tempi, il comune è l’istanza più vicina ai cittadini, quella più visibile, la meno anonima nella crisi delle istituzioni democratiche. Se anche il Comune cede la sua rappresentanza civile e sociale, si produce disagio, sconcerto, disaffezione alla partecipazione e un cittadino che si sente solo, abbandonato anche dalla sua rappresentanza che credeva la più vicina, non partecipa più a far pulsare di nuovo la città.
Come Lei comprenderà Signor Ministro, il tentativo svizzero di togliere la parte civile, come sostengono alcuni giuristi, rende opaca la natura violenta dell’atto criminale compiuto.
Questa maledetta “transazione” non è un atto amministrativo, è innanzitutto un atto politico e chi consuma quest’atto, non può pilatescamente addossare la responsabilità alla disponibilità concreta di un Ministro della Repubblica, che in 20 giorni dalla Sua nomina si rende disponibile ad attivare ciò che è nella Sua disponibilità e competenza.
Occorre chiarezza, trasparenza, così come vent’anni fa ed è continuata in questi anni, una comune volontà di tutti, una nuova mobilitazione unitaria di tanti per evitare, quella che Lucio Libertini definì “Una squallida vicenda di Palazzo”.