Alla Grangia di Ramezzana per un restauro e... un libro di Renzo Rolando
di l.a./d.r.
Passando da Trino (stop alla posta per cartolina al prof. Olimpio Musso) svolta destra e dopo un lungo rettilineo siamo a Borgo Ramezzana, una delle grange di Lucedio. Subito colpisce la ricostruzione in stile neogotico su una base possente più antica.
Nella chiesetta settecentesca dedicata a San Giorgio Stefano Rolando con l’aiuto del padre Renzo sta restaurando l’altare in stucco (direttore dei lavori l’architetto Raffaella Rolfo che qui è di casa, vedi Lucedio, Madonna delle Vigne e castello di Trino).
La chiesa, che è consacrata, sta recuperando l’antica bellezza, dopo la ricostruzione della volta crollata. La storia ricorda l’esistenza di una pregevole pala d’altare di cui è rimasta solo una foto in bianco e nero.
L’edificio sacro fa parte di un complesso trasformato in Country House di charme. Entriamo, ci riceve il gestore del ristorante Graziano Faiola di Roasio in Valsessera. All’ingresso una grande stampa antica di Trino, a destra la sala da pranzo, 55 coperti, con pareti decorate di altre stampe di città piemontesi: Carmagnola, Avigliana. Magica la luce che filtra dai vetri colorati. Occhieggiamo sulla bella carta dei vini dove predominano i prodotti delle Cantine Bava di Cocconato, una garanzia (mentalmente salutiamo Roberto Bava...).
C’è anche un menù degustazione.
Saliamo alle camere del piano superiore che hanno nomi e arredi particolari: Antica Cina, Garden, Vecchia Inghilterra e Novecento, oltre ad un appartamento suite con accesso alla torre cilindrica. In una seconda ala altre dieci camere e un appartamento. Attraversiamo il bel cortile con piscina. Si lavora anche nella vecchia stalla per ricavare un grande Centro congressi. Una visita infine alla singolare torre, alla cui base c’è la ghiacciaia che sarà collegata con la bella tavernetta.
Saluti e Rolando padre ci regala la sua ultima fatica libraria dal titolo intrigante ‘‘Va an sla forca!’’.
SCHEDA: UNA GRANGIA DI LUCEDIO
Ramezzana fu una delle Grange dell’Abbazia di Lucedio, insieme con le vicine Montarucco e Montarolo.
La località è citata per la prima volta nel 1183, nel suo territorio furono rinvenuti nel 1880 laterizi di epoca romana con bollo ‘‘M. Maeli’’.
La Grangia venne realizzata tra il 1186 e il 1197.
La presenza di una torre merlata (foto) e di un edificio in stile neogotico a poche decine di metri dalla chiesetta lascerebbe pensare ad un antico castello, ma non ne resta alcuna attestazione.
Tutti gli elevati con finestre ogivali e segnapiani in cotto sono certamente databili alla fine dell’Ottocento. Borgo Ramezzana, come le altre Grange, fu innalzata a Commenda nel 1457 e poi con la secolarizzazione dei possedimenti della Chiesa, passò all’Ordine Mauriziano nel 1784.
Al momento della vendita ai privati, la cascina venne divisa tra Giovanni Gozzani di San Giorgio e Luigi Festa: il 30 giugno 1852 la tenuta Borgo Ramezzana fu venduta dai fratelli Marchese Alfredo e Conte Enrico Solaro Del Borgo, con la madre Contessa Paolina di San Marzano, a favore del Maggiore delle Regie Armate Luigi Festa. Nel 1895 la tenuta divenne dote della sposa Ernestina Festa (figlia dell’avvocato Corrado Festa), nel matrimonio con il Prof. Giorgio Rattone. Il 20 settembre 1900 Borgo Ramezzana fu venduto da Giorgio ed Ernestina Festa, coniugi Rattone, a Giovanni Battista Vercellotti, bisnonno dell’attuale proprietaria Maria Rosa Vercellotti.
Va an sla furca
C’era una volta il vecchio vocabolario, dove generazioni di studenti andavano prontamente a caccia di quelle che un tempo si chiamavano le “parolacce” che poi passavano di bocca in bocca tra lazzi e risolini facendo arrossire la nostra compagna di classe che il giorno dopo le trovava graffite sul vecchio banco di legno.
Ma il tempo cambia e mai come in questi tempi nella vita quotidiana e ancor più nei programmi televisivi si scatenano raffiche di insulti e di improperi, per lo più banali e ripetitivi, quasi mai coloriti e fantasiosi. Diciamolo pure: anche nell’uso degli appellativi ingiuriosi siamo poco attenti alla forma e allo stile. Scadiamo facilmente in una volgarità gratuita e grossolana, offensiva e poco divertente. Ci accontentiamo del primo termine che ci viene in mente, dimenticando di personalizzare l’epiteto come invece facevano i nostri avi con una inaspettata varietà di termini dialettali e di registri linguistici le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Per ovviare a questa carenza di fantasia e di sapere è sufficiente sfogliare le pagine del piacevole volumetto intitolato “Va an sla forca! Epiteti ed improperi degli indignati del tempo passato”, appena pubblicato dalla Tipografia La Nuova Operaia (Casale, novembre 2011). L’autore è Renzo Rolando che meticolosamente è andato alla ricerca dell’origine semantica, etimologica e storica di certi termini dialettali che comunemente i nostri nonni usavano.
Una ricerca scrupolosa e complessa, frutto di uno scavo non sempre facile nell’archeologia linguistica, che prende in considerazione in ordine alfabetico termini quasi scomparsi, modi di dire o parole presenti in piccoli ambiti territoriali che costituiscono una vera e propria nicchia linguistica, oltre a curiose storielle legate a singole espressioni di garbato sapore popolare. E se è vero che il classico dizionario, ormai relegato in cantina, è sostituito dai supporti elettronici (dizionari on-line o su cd-rom) che stanno al passo della lingua che si rinnova di giorno in giorno, nessuno potrà mai scrivere la parola fine a un’arte dibattuta e controversa, come quella degli insulti e degli improperi, in continua evoluzione e che vede gli italiani primeggiare nel mondo.
Insomma, questa raccolta fatta da Renzo Rolando con “la passione per la cause perse e dimenticate” e con la tenacia e abilità di “restauratore delle cose, delle storie e delle parole”, come scrive nella prefazione Riccardo Calvo, “offre al lettore uno spaccato di grande interesse antropologico sulla ricchezza e complessità linguistica dei nostri padri” che meritava di venire alla luce nella sua completezza, qualificandosi come l’unico valido antidoto all’indifferenza totale per la scrittura e la memoria.
Chiaramente l’utilizzo di alcuni di questi termini triviali è fortemente sconsigliato, anche se la conoscenza di termini coloriti o scherzosi non sempre è una cosa negativa, anzi, è un’arma a proprio favore.