LA RIFLESSIONE / Ebola: 21 trial in pochi mesi! E il mesotelioma?
di Massimiliano Francia
Cancellate dalla sentenza della Cassazione le provvisionali destinate agli enti per la bonifica dei siti inquinati dall’amianto, gli sforzi delle associazioni e delle istituzioni contro il rischio amianto purtroppo tuttora attuale (nonostante la Suprema Corte lo abbia “prescritto”) devono ripartire giocoforza di lì: eliminare l’inquinamento causato dall’Eternit.
Bonifica prioritaria perché rappresenta l’unica vera forma di prevenzione, visto che la ricerca scientifica non ha ancora individuato terapie davvero efficaci nella cura delle patologie asbesto-correlate.
E la ricerca? La ricerca - impervio cammino per dare speranza a chi si ammala e a chi (tutti quanti, di fatto) è esposto al rischio - rischia di passare in secondo piano.
Il tema è stato sollevato sabato scorso all’incontro promosso da un gruppo di malati di amianto che non sono casalesi, sono semplicemente italiani. Un gruppo nato spontaneamente in rete e che ha lo scopo di dare reale concretezza a ciò che tutti sanno: che le malattie causate dall’amianto sono un problema nazionale. Anzi globale.
E che la ricerca non può continuare a essere la cenerentola della battaglia all’amianto.
Certo si sa, benissimo e lo si ripete continuamente! Ma gli atti concreti, i fatti, sono conseguenti ai proclami? La risposta, evidentemente, è “no”.
Questo era il vero messaggio di quella giornata in cui sconforto e dolore non sono stati messi a nudo in pubblico per vezzo o esibizionismo ma per senso di responsabilità, perché nessuno possa far finta che “tutto va bene”.
Quello della ricerca in Italia è davvero uno sconfortante “scandalo”. Da una decina d’anni - ormai - su queste colonne si cerca di informare sull’andamento dell’attività scientifica relativa a nuove cure di queste malattie.
A parte alcune realtà universitarie in cui (con estrema difficoltà, causa problemi di finanziamento) si lavora per sviluppare conoscenze su questo tumore - molti ricercatori per portare avanti il proprio lavoro sono costretti ad andare all’estero.
E anche questa - si sa - non è novità...
Nelle Università di Alessandria, Novara, Pisa, Siena ci sono progetti in corso che sono stati - negli anni scorsi - tutti cofinanziati dalla Fondazione Buzzi. Vale a dire per iniziativa privata!
Sabato è stato posto dai pazienti e dai familiari il caso del dottor Luciano Mutti “emigrato” a Manchester perché in Italia non è riuscito a trovare una collocazione che gli consentisse di sviluppare le sue intuizioni sulla ricerca.
In Inghilterra, oltre a una cattedra universitaria, è responsabile della ricerca e delle terapie sul cancro in una città dove affluiscono circa 150 malati di mesotelioma l’anno. Là sta cercando di aprire una “finestra” per l’accesso ai trial (attualmente sono una decina, tutti innovativi, dice) anche ai pazienti italiani.
Ma non è mica l’unico caso. È solo il più noto a causa dell’ancor più noto... caratteraccio del medico e ricercatore italiano. Anche il lavoro che si sta conducendo sul cosiddetto “vaccino” è infatti frutto della intuizione di un biologo italiano, Antonio Siccardi, già docente all’Università di Milano. Per continuare lo sviluppo di questo progetto ha dovuto “trasferirlo” alle Hawaii, dove viene portato avanti guardacaso da un altro italiano, Pietro Bertino, alessandrino. E guardacaso alle Hawaii lavora anche Giovanni Gaudino, ex docente di biologia a Novara.
Entrambi nel centro di ricerca diretta da un altro studioso di origini italiane Michele Carbone. Tutti talenti che per coltivare la ricerca su una patologia della quale la nostra città è drammaticamente martire hanno dovuto “scappare” all’estero. Dove c’è una situazione infinitamente meno grave. Eppure si fa qualcosa!
In Italia l’attenzione istituzionale ha portato un paio di anni fa alla creazione di un “pool di esperti” (con strascico di polemiche in merito alle competenze specifiche) con il compito di dare vita a una rete internazionale di ricerca, ma non è chiaro se il progetto è stato finanziato adeguatamente.
Finora non sono pervenute comunicazioni ufficiali (né ufficiose) su attività di concreto studio. Ma può darsi che qualcosa si faccia. Speriamo...
Quanto al rafforzamento dell’assistenza sanitaria, concretizzato grazie alla collaborazione tra l’ospedale di Casale di quello di Alessandria, pare poi (da quanto si è riusciti a sapere) che sia stato finanziato dalle associazioni con le risorse derivanti dalle transazioni dei cittadini contro lo svizzero.
Significa che lo Stato non arriva neppure a garantire le necessarie attività sanitarie rispetto a una evidente, conclamata, straordinaria emergenza?
E che in qualche modo i cittadini devono “comprare” la sanità pubblica come se fosse privata, finanziandola in modo diretto e mirato?
Le cose comunque non vanno sempre così. Sul caso ebola, per esempio, da agosto a oggi sono stati attivati 21 nuovi protocolli di cura (vedi qui).
Anche con farmaci mai testati prima. Nuovi di pacca!, come si dice.
Doveroso e lodevole.
Tuttavia non si può negare che la legge dei numeri dovrebbe perlomeno portare a pari attenzione su quella che viene definita una “patologia rara” ma che rara non è per nulla e lo sarà sempre meno nei decenni a venire. In Italia le morti attribuibili all’amianto sono ogni anno alcune migliaia. Gli epidemiologi da vent’anni vanno sostenendo che la vera epidemia deve ancora arrivare!
Ma nelle “stanze dei bottoni” nessuno li ascolta... Senza contare poi che statisticamente l’ebola è mortale nel 60% dei casi. L’incidenza di prognosi infausta per il mesotelioma è nota a tutti.
Ma se lo Stato rinuncia a esercitare la Giustizia indispensabile per tutelare un bene primario come la salute dei suoi cittadini. Se non sostiene neppure la ricerca...