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L'intervista

«In Libia avrei potuto fare il mercenario» Invece oggi Eric è un cittadino modello

Da quattro anni vive in città: oggi lavora e sogna una vita tranquilla fatta anche di calcio

«Mi manca mia mamma, non la vedo dal 2013, mi manca soprattutto da quando è morto mio padre, poco dopo il mio arrivo in Italia». Ha gli occhi lucidi quando parla della sua famiglia Eric Larry Mensah, ghanese di 22 anni, uno dei più giovani ragazzi arrivati dall’Africa a Casale ormai quattro anni fa, a marzo del 2014. Le difficoltà incontrate però non hanno però scalfito il suo sorriso, denti bianchissimi che mettono a suo agio ogni interlocutore.

Oggi Eric ha ottenuto il permesso di soggiorno, ha un lavoro e ha pure preso casa, un piccolo appartamento in affitto non lontano dal centro città. Ha anche una fidanzata, una ragazza tedesca conosciuta su Facebook e che è già andato a trovare quattro volte nell’ultimo anno. Per arrivare a questo come si può immaginare il percorso è stato difficile e ce lo siamo fatti raccontare in italiano - la terza lingua parlata da Eric oltre all’inglese e al Twi - approfittando di una delle rare pause delle sue frenetiche giornate tra studio e lavoro. Nelle sue parole non c’è un accenno di rabbia o risentimento per le tante avversità che ha dovuto sopportare solo e lontano da casa.

«Sono il più piccolo della famiglia, ho tre fratelli e una sorella che si è sposata. Ho terminato in Ghana l’equivalente delle scuole superiori e mio padre, che non aveva soldi per farmi frequentare l’università, ha pensato che avrei potuto avere un futuro migliore in Italia o in Spagna. Ha venduto il terreno che possedeva per darmi i soldi per il viaggio in Libia dove, al mio arrivo, ho trovato la guerra civile e le varie fazioni offrivano denaro per assoldarti  come soldato mercenario. Io ho rifiutato e ho fatto dei lavori per ottenere i soldi per il viaggio verso l’Italia, la situazione era molto pericolosa ma per fortuna dopo un anno, in una notte di marzo del 2014, sono partito in barca con un centinaio di persone. Siamo stati soccorsi dopo 15 ore di viaggio al freddo. Dopo tre giorni sulla nave che ci ha tratti in salvo siamo arrivati a Lampedusa, quindi immediatamente siamo stati trasportati in aereo a Torino e, dopo qualche giorno ad Alessandria, sono arrivato a Casale, ospite della Cooperativa Senape, non conoscevo nessuno e non parlavo nemmeno italiano».

A quel punto cosa è successo?

«Grazie alla Cooperativa Senape ho cominciato fin da subito ad andare a scuola. Ci sono vari livelli da frequentare (A2 è quello minimo necessario per ottenere il permesso di soggiorno, nda). Da A0 ho fatto A1, A2, B1, quindi la terza media e adesso sto facendo il B2 ma ho fatto in più anche un corso da elettricista e uno da venditore. Adesso lavoro per Senape, facendo la maschera e il facchino al Teatro Municipale ma anche aiutando gli altri ragazzi. Inoltre dopo sei mesi dal mio arrivo ho iniziato a giocare a calcio nella Canottieri (Ex Merlese, Campionato amatoriale casalese), il calcio è la mia grande passione e la squadra mi ha aiutato anche con una lettera di sostegno che ho portato davanti alla commissione che ha affrontato il mio caso».

Come ti trovi a Casale?

«Qui lavoro e non ho i problemi che ho dovuto affrontare in passato. Sognavo di studiare e di giocare a calcio e ho trovato tutto qua. Purtroppo mi manca la famiglia che sento solo su Skype e su Whatsapp ma forse riuscirò a tornare in Ghana nei prossimi mesi. Dei casalesi mi piace che la maggior parte di loro sorride sempre quando ti parla».

Sei stato ben accolto quindi...

«Ringrazio soprattutto Mirella (Ruo, di Senape nda),  è lei che ha fatto tutto per me e per tutti noi. Non ho mai incontrato in tutta la mia vita una persona come lei, ama tutte le persone in modo uguale, non ha un preferito. Le voglio bene come a una madre».

Cosa mi dici del razzismo?

«Ad alcuni non piacciono gli stranieri ma non possiamo evitare questa cosa, capita in tutt’Italia. Non bisogna aver paura, alcuni con la pelle scura sono cattivi ma molti amano tutte le persone, io amo l’Italia. Gli italiani non sono tutti uguali, ci sono quelli buoni e quelli cattivi, così come per noi stranieri. Mi piacerebbe che sui giornali si raccontasse anche questo, le cose delle buone persone, sono la maggioranza! Penso che il razzismo non possa finire nel mondo perché i genitori razzisti crescono facilmente figli razzisti, eppure i bambini non nascono così. Oggi si tende a fare confusione, mi è capitato che mi chiedessero di fare da interprete per un ragazzo africano ma era di un altro stato, non è che perché siamo entrambi neri parliamo la stessa lingua! Un altro esempio l’elemosina, io non avrei mai il coraggio di chiedere soldi per strada, voglio giocare a pallone, studiare e lavorare».

Il tuo futuro?

«Mi piacerebbe continuare a giocare a calcio, magari facendone il mio lavoro, è il mio sogno. Se non funzionasse però non ci sarà problema, continuerò a darmi da fare».


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