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  • 31 gennaio 2016
  • Casale Monferrato

Il caso Casale-Camagna: «Meno unioni ma più forti»

C’è una proposta di legge, cosiddetta Lodolini, per una fusione obbligatoria per i Comuni inferiori a 5000 abitanti, a dir poco demenziale, una semplificazione grossolana. Non servono imposizioni dall’alto o inutili forzature. Tutto ciò non rientra nel solco del processo di riforma avviato con la riforma Del Rio. I comuni chiedono il rispetto del principio di autonomia e sussidiarietà, insomma una governance comunale moderna senza invasioni centralistiche. Negli ultimi anni sono rimbalzate riforme altalenanti che hanno tolto ogni certezza amministrativa ai comuni. Prima l’ICI, poi l’IMU, la TARI, la TASI, il patto di stabilità sopra i 1000 abitanti, la centrale unica degli acquisti, la CUC quella per gli appalti sopra il 40.000€ e sotto i 40.000, il tutto condito da rinvii fino al 30,9 dei bilanci di previsione dell’annualità in corso. E che dire anche del passaggio alle unioni dei Comuni delle 10 funzioni fondamentali, di fatto costruite, certificate sulla carta di qualche delibera per gratificare qualche Prefetto, ma difficilmente operative data la deambulazione tra convenzioni e unioni di Comuni e finanziamenti regionali fino a ieri slegati da qualsivoglia obiettivo reale di realizzazione dell’efficienza ed efficacia di una nuova aggregazione amministrativa? Il Piemonte, differentemente da altre regioni, ha 1200 comuni sugli 8000 italiani e su 8000 comuni in Italia circa 5.500 sono al di sotto dei 5000 abitanti. Se vogliamo corrispondere appieno alle necessità amministrative, alla capacità di fornire servizi ai cittadini e ad assolvere al nostro compito istituzionale dobbiamo ricercare forme e modalità dello stare insieme che ci consentano di razionalizzare la nostra azione amministrativa e rendere più capaci di corrispondere ai bisogni diffusi delle nostre comunità. Scompaiono poi le Province che diventano “enti di Area vasta” che si occupano di trasporti, viabilità, ambiente, rifiuti, acqua, ma che riconsegnano alle regioni temi quali il lavoro, la formazione, la cultura, l’agricoltura. Venendo meno questo punto di riferimento intermedio, la forza di attrazione delle città metropolitane (per noi TO-MI-GE) i nostri territori rischiano marginalità. Le imprese, il lavoro, lo sviluppo rischiano di trovare soddisfazione nei vettori metropolitani dove la capacità di confronto con i mercati e la mobilità offrono maggiori opportunità, così come le risorse. Rischiamo, come qualcuno ha già denunciato, che la massa di fondi strutturali nei prossimi anni vadano a collocarsi solo in quelle aree. Mentre noi rischiamo la desertificazione per assenza di questi processi. Così è avvenuto in Europa nella regioni a traino di sviluppo. A noi rischiano di rimanere problemi quali l’invecchiamento della popolazione, con tutte le conseguenze assistenziali e sanitarie del caso, il crollo della natalità e della residenzialità, l’assenza di infrastrutturazioni che consentano una moderna mobilità di persone e cose, insomma l’assenza di una vitalità del territorio utile al suo rilancio sociale ed economico per ciò che sarà possibile. Dobbiamo combattere contro l’abbandono del territorio, il suo dissesto idrogeologico salvaguardando le caratteristiche di ruralità del Monferrato, la sua tipicità quale area omogenea al di là dei confini istituzionali che finora sono stati punti di riferimento. Dobbiamo essere oggi un aggregato forte di comunità capace di fare massa critica con sistemi economici, sociali e istituzionali che puntano a risucchiare capacità, risorse e sviluppo. Il vecchio detto piemontese “bugia nen” rischia di portarci ad una clamorosa sconfitta economica e sociale. Mettere insieme le nostre forze, le nostre capacità e anche la nostra cocciutaggine deve essere di stimolo al cambiamento radicale del nostro agire in particolare a livello istituzionale. Cosa possiamo offrire ai cittadini del nostro territorio se non la prospettiva di uscire da questa fase, con una strategia istituzionale proponendo una nuova governance che non sia di semplice difesa dell’esistente? Ovviamente Casale ha una sua centralità per il territorio. Casale non è Capitale del Monferrato con dei Comuni sudditi, ma come diceva Riccardo Coppo “Casale cresce se tutto il territorio cresce”. La città non è matrigna, offre servizi utili alla crescita, lo sta già facendo positivamente con servizi e convenzioni quali lo sportello unico per le attività produttive, le CUC per gli appalti e con l’utile coordinamento della partecipazione nelle multi servizi. E questo è sicuramente un valore aggiunto. La fusione per incorporazione al Comune di Casale avvenuta nel Consiglio comunale di Camagna ha destato e desta interesse e interrogativi. Certamente porta in sé elementi di innovazione proposti a livello regionale e nazionale anche con effetti premiali che devono essere garantiti per compiere questo passo, ma qui è fuori di dubbio saranno i cittadini a deciderlo con un referendum. Pur vero che siamo di fronte a una piccola realtà importante, che può dare a Casale una centralità nel novero dell’Unesco e delle politiche territoriali volte a tutela e alla promozione del territorio. Ma sarà uno strumento valido per tutti i Comuni? Forse quelli della prima cintura casalese, e gli altri? Ognuno è una repubblica a sé? Dobbiamo avere il coraggio di proporre una grande questione in questa consigliatura: entro il 2019 aggregare i Comuni non più in minuscole unioni (oggi 7 ndr) di pochi Comuni, ma 3 unioni che abbiano omogeneità tra loro e insieme a Casale coordinino le attività, incidano sui processi decisionali di efficientamento istituzionale e reclamino per questa via la sponda istituzionale della Regione, finanziare, formare e organizzare le funzioni obbligatorie in comune tra loro. So, è un terreno tutt’altro che facile, è una scommessa ma solo un processo autonomo di aggregazione può salvarci non solo dalla perdita di identità, ma dalla inconsistenza del nostro agire quotidiano. Mettere a disposizione dei nostri cittadini servizi comuni, dal piano regolatore al controllo dell’edilizia pubblica e privata, con regolamenti omogenei che intervengano su indirizzi di sviluppo territoriale con uniformità sui costi di un urbanizzazione artigianale commerciale, industriale e/o residenziale, che scommettendo sulla diversità dei costi tra la ristrutturazione e la nuova costruzione e tutela del recupero dei centri storici delle nostra piccole comunità, con attenzione ad un nuovo consumo di suolo. Sono un obiettivo che rafforza una visione unitaria per lo sviluppo. Attuare politiche amministrative e sanitarie per la nostra popolazione anziana ed in particolare assistenziali, deriva dalla conoscenza dell’insieme per garantire servizi efficaci più vicini alla realtà decentrata. Così come le politiche scolastiche, il dimensionamento e l’organizzazione dei plessi nei nostri comuni, possono trovare un utile riferimento in un’azione unitaria che non discenda unicamente da decisioni burocratiche ministeriali ma coinvolga aspetti di ricaduta territoriale quali quelli demografici, ma ancor più legati ai servizi collettivi, come il trasporto, la mensa, il pre e post insegnamento. Cosa ancora aggiungere alla necessità di una capacità di interlocuzione informatica tra i nostri collaboratori, dei vari sistemi di gestione, per il lavoro quotidiano quella che normalmente chiamiamo “rete” questo senza dubbio promuoverebbe fungibilità nelle mansioni, arricchimento professionale capacità di intervento e di risposta ai cittadini, so che si fa già molto ma ci manca ancora uno scatto in più, una visione unitaria, la capacità di mettere insieme servizi, catasto, tributi, bilanci, acquisti, idee e progetti. In molti, direi quasi tutti, ci parlano di fondi strutturali quale unica risorsa per lo sviluppo, la panacea di tutti i mali, ma per ottenere fondi dobbiamo fare progetti territoriali, seguire direttive europee di sviluppo, politiche di coesione territoriale e sociale. Insomma, avere la capacità di concorrere come fanno le medie e grandi città. Lo dobbiamo fare con le città centro zona, ma soprattutto mettendo insieme un’azione positiva comune. Se è così ed è così, solo imprimendo un’accelerazione di razionalizzazione delle forme associative, potremo evitare che le nostre piccole comunità siano espunte dai processi di sviluppo possibile e l’autonomia che lamentiamo necessaria, sarà ahimè un debole lamento e, se posso permettermi una battuta dialettale “la roba brutta at chi il travaia por so cunt a l’è ndà travaià sut padron”.

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