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  • 14 luglio 2011
  • Casale Monferrato

Tra ghiaia e sabbia ecco come una cava a Po diventa un progetto ambientale

«É un’opera ambientale» dice fiero Giuseppe Balbo, imprenditore 65enne dal 1994 a capo della ditta Allara Spa, riferendosi al lavoro che la sua controllata sta svolgendo sulle rive del Po monferrino. A valle della città, sulla sponda destra subito dopo l’autostrada, nel 1954 cominciarono i lavori per la creazione di una cava che nel tempo si è trasformata in un grande lago, profondo in alcuni punti anche 25 metri. Un tipo di lavorazione, “quadrato e scava”, che ha tenuto banco per diversi decenni nell’industria mineraria ma che da alcuni anni non è più compatibile con i concetti dell’ecosostenibilità. E proprio della via eco-ambientale intrapresa dall’Allara nel 2000 che Balbo è orgoglioso. Da dieci anni infatti, contrariamente alla legge mineraria «dove c’è un giacimento va sfruttato al massimo», la sua impresa, in costante collaborazione con il Parco del Po vercellese e alessandrino, ha abbandonato la metodologia “quadrato e scava” favorendo l’introduzione di un’estrazione ambientalmente più sostenibile. Dei 130 ettari in possesso dell’Allara in questa zona di casalese, ben 90 sono stati allineati con i principi “eco” del Parco del Po. Le due entità, infatti, hanno sviluppato insieme un progetto che armonizza le esigenze dell’imprenditore e quelle del fiume Po. Anziché scavare in profondità in un punto determinato per estrarre ghiaia e sabbia, il progetto ha previsto un’estrazione più controllata su un’area più vasta, meno profonda e con un risultato finale decisamente meno invasivo rispetto al “quadrato e scava”. Infatti, nei 90 ettari di terreno da cui le ruspe hanno estratto ghiaia negli ultimi dieci anni, la profondità massima raggiunta sotto falda è di pochi metri e su una superficie trattata a macchia di leopardo. In questo modo, è stata creata un’area con una serie di piccoli specchi d’acqua collegati tra loro da un canale più profondo e da zone di terre emerse. Il luogo del progetto è diventato così la casa di circa 160 specie di uccelli che nidificano, sostano o svernano tra i nuovi stagni. L’operazione di rinaturazione dell’area, clausola chiave per la concessione allo scavo nell’area del Parco, terminerà nel 2016, anno in cui l’Allara avrà concluso le operazioni di estrazione e di definitiva piantumazione. E una volta terminato il lavoro? Casale si troverà un polmone verde a pochi passi dalla città facilmente raggiungibile tramite la strada per Frassineto o seguendo l’argine destro del fiume. Non solo: i 90 ettari di quell’area, una volta diventati vero e proprio parco, serviranno come bacino di sfogo per un’eventuale piena del Po che dista poche centinaia di metri; l’intero parco sorge su un’ansa “abbandonata” dal fiume. «In caso di piena -spiega Dario Zocco direttore del Parco del Po- questa si appoggia al terrazzo della vecchia ansa allagandola» e sottraendo così acqua alla piena del fiume. «L’argine golenale (quello che separa l’attuale cantiere dal fiume ndr) si interrompe a valle dell’area interessata del progetto contribuendo a far espandere le acque con velocità molto ridotta». Zocco spiega anche da dove nasce la necessità di realizzare questo tipo di progetti e parte da lontano: «Nel 1985 si è cominciato a lavorare al progetto Po in Regione ipotizzando una fascia di area protetta lungo tutto il fiume, un vero e proprio discorso urbanistico. Nel 1990 è stato istituito il Parco mettendo a tutela tutta la zona del fiume piemontese. Successivamente, nel 1995, è stato approvato il Piano d’Area, una sorta di piano regolatore del Parco del Po. In base al combinato della Legge Istitutiva e del Piano d’Area si è determinato che i compiti del Parco consistessero nel conservare e nel recuperare l’ambiente. Questo tipo di interventi sono tra quelli espressamente previsti, definiti come interventi di rinaturazione effettuati tramite l’attività estrattiva. In questo caso però l’attività estrattiva è il mezzo e non il fine: è perciò molto lontano dalle classiche cave». Anche il rapporto tra superfici e volumi è ben diverso: «Sulla superficie di 90 ettari il volume di materiale estratto è decisamente inferiore rispetto a quello che sarebbe in un bacino di estrazione tradizionale». Da privato a pubblico: «Alla fine dell’intervento tutta quest’area - sottolinea il direttore del Parco - cambierà di proprietà e diventerà pubblica». «Nel 1994 - racconta Balbo - ci siamo trovati a fare delle scelte: se avessimo deciso di ricollocare l’azienda fuori dall’area Parco acquisendo la stessa quantità di terreni sicuramente, come la legge permette, avremmo estratto come minimo quattro volte in più rispetto a quello che stiamo estraendo. Ma la nostra scelta è stata quella di portare avanti un progetto innovativo e qualificante anche per le persone che lo realizzano con dei costi maggiori rispetto ad una cava normale: il costo di recupero è maggiore e il valore dell’area finale va a zero perché giustamente, come previsto in convenzione, viene dismessa nel patrimonio del Parco e, per quanto ci riguarda, con l’obbligo di andare a ricollocarci su un’altra area». Dove guadagna un imprenditore dunque? «L’imprenditore guadagna di meno… Se a fianco avessi un altro imprenditore che in un lago estrae a 25 metri io non sarei competitivo. Fortunatamente quando tutto è cominciato erano altri tempi… il progetto è nato nel ‘94 e partito nel 2000 con le autorizzazioni. A quei tempi c’erano gli spazi di avere il piacere di realizzare cose di questo genere». Lo rifarebbe? «Dovrei valutare se tornare su estrazioni di questo genere o tornare ad un lavoro più tradizionale, credo però che questo progetto sia il futuro. Sono orgoglioso di ciò che ho fatto…» E se questo progetto non fosse altro che una cava mascherata? «La differenza tra cava e intervento di rinaturazione sta nel rapporto tra superficie e volumi estratti» spiegano Zocco e il presidente del Parco del Po Ettore Broveglio. «L’Allara - puntualizza Balbo - secondo il vecchio concetto di estrazione (quadrato e scava ndr) avrebbe potuto estrarre (teoricamente ndr) sulla stessa superficie ben 15 milioni di metri cubi contro i 3 attuali». Con la vecchia filosofia, spiega Broveglio, «l’imprenditore guadagnerebbe dieci volte rispetto a quella nuova» ma, sottolinea Balbo, «da una parte realizzi un progetto… dall’altra semplicemente scavi». Tra le varie problematiche da risolvere dopo che l’Allara avrà lasciato la zona, dovrà essere deciso chi e in che termini gestirà l’area-parco che avrà bisogno, seppur minima, di una manutenzione e vista la dimensione non sarà un punto da sottovalutare. Centrale idroelettrica Allara A valle dell’area interessata da questo progetto di estrazione e rinaturazione ormai in piedi da undici anni, la ditta Allara ha chiesto alla Provincia di Alessandria la possibilità di andare ad installare una centrale idroelettrica per la quale però deve ancora essere attivato l’iter burocratico e valutata la sostenibilità ambientale. La zona individuata dagli idraulici dell’impresa è la curva del fiume più vicina a Terranova, luogo in cui il Po si divide in due rami. Al termine del ramo più a nord, nel ricongiungersi con quello a sud, verrebbe installata la paratoia mobile che alzerà e abbasserà lo sbarramento al fiume in base al livello dell’acqua mentre alla stessa altezza nel ramo sud verrebbe eretta una piccola barriera così da mantenere il livello dell’acqua stabile anche nel ramo nord. Questo sbarramento andrebbe a creare un bacino d’acqua grande abbastanza da entrare all’interno del RID di Roma, il Registro Italiano Dighe, che si occuperà di controllare la funzionalità e la sicurezza dell’impianto. Nel caso in cui Allara riuscisse ad ottenere i permessi per la costruzione della centrale, la ditta utilizzerà la stessa struttura di centrale che Idropadana utilizzerà per realizzare la sua poco a valle del ponte ferroviario: un sistema che mantiene il livello dell’acqua un po’ più alto rispetto a quello attuale ma che in caso di piena si abbatte totalmente e lascia sfogare il fiume senza creare nessun pericolo. «Gli impianti dell’Allara -spiega Balbo- sono globalmente da circa sei megawatt e la spesa annuale di energia incide molto a fine anno: circa due milioni di euro. Una ditta che ha cento dipendenti deve trovare modo di continuare ad essere competitiva sul mercato e la possibilità di creare energia autonomamente e di autoalimentarci al 100% sarebbe una bella boccata d’ossigeno». I costi di costruzione della centrale idroelettrica Allara dovrebbero aggirarsi intorno ai 12-13 milioni di euro.

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