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Teatro
Don Giovanni, un "dramma giocoso" sul palco del Municipale
Giovedì 12 e venerdì 13 dicembre alle 21
“Don Giovanni” è un nobile cavaliere con una passione sfrenata per le donne; pur di conquistarle, ricorre anche all’inganno e alla menzogna. Nelle sue imprese coinvolge anche il suo servitore Leporello, il quale è ormai abituato alle follie del suo padrone.
Giovedì 12 e venerdì 13 dicembre alle ore 21 il Teatro Municipale (biglietti disponibili sul sito VivaTicket e le sere degli spettacoli al botteghino) ospita l’adattamento delle opere di Molière, Da Ponte, Mozart, realizzato dall’attore protagonista, anche nella veste di regista, Arturo Cirillo, che ci parla del suo personale rapporto con uno dei pilastri del teatro. E non solo.
La scelta di “Don Giovanni”
Mi sono avvicinato sin da ragazzino al Don Giovanni, perché mio padre era un amante dell’opera e soprattutto di Mozart. Credo di essere cresciuto sulle note del Don Giovanni. Quando sono sul palcoscenico, torno sempre un po’ bambino e dunque mi sono tornati alla mente i molteplici ascolti di questo lavoro, ricordandomi anche del film di Joseph Losey. Il mito di Don Giovanni è stato ripreso da molti e contemporaneamente reinventato. Poi da frequentatore dell’opera di Molière ho un rapporto molto forte con questo autore, che forse ha scritto con troppa fretta il Don Giovanni, dopo la censura del “Tartufo”. Poi la scommessa di rendere il libretto di Da Ponte anche teatrale: il miglior librettista che abbiamo avuto in Italia e che ha scritto ben tre opere per Mozart, “Le nozze di Figaro”, “Così fan tutte” e il “Don Giovanni”. Una sfida, per me, quella di esporre il libretto di Da Ponte senza collegarlo sempre alla musica.
Teatro ma anche opera, come vive il rapporto musica-parole?
Il rapporto musica-parole c’è e non c’è, non ho voluto inserirmi dentro una strada troppo ripida, non ho scelto uno stile univoco di rappresentazione, o un unico sentimento o un solo clima, ho voluto far parlare il testo in vari modi con la musica di Mozart, riarrangiata da Mario Autore. L’opera viene dunque citata ed evocata.
Da Ponte, Molière e Mozart, ma il “Don Giovanni” per lei ha qualcosa di shakespeariano?
Vero, durante le prove è emerso questo. Per il personaggio di Don Giovanni sono partito carico di tantissimi scritti, avevo moltissime idee. Don Giovanni come Amleto ha un rapporto di conflitto con il reale, entrambi hanno una difficile relazione con la figura paterna, che forse un po’ a loro mi accomuna. Cito due frasi di Amleto riguardanti il lutto della corte di Danimarca dopo la morte del padre: “Questo lutto è molto recitato e va oltre lo spettacolo”. Viviamo in un mondo in cui l’ipocrisia viene lodata e apprezzata, come diceva Molière.
I colori messi in scena rappresentano il carattere dei personaggi?
Ci sono dei non colori, domina il bianco marmoreo, domina il nero, un rosso pompeiano del cappotto di Don Giovanni, un fondale che si ispira all’Isola dei Morti, un famoso quadro del pittore svizzero Arnold Böcklin… Tutto il testo vive sotto un grande presentimento, ovvero un rapporto di destino e predestinazione, e quindi la scena si svolge vicino a un cimitero. La lettura ha qualcosa di dark, ma ci sono anche momenti allegri e spiritosi: secondo Molière e Mozart domina uno humour nero, cosa che venne espressa anche da Mozart con la definizione “dramma giocoso”. Con Molière, ho sempre lavorato sul suo lato nero, un autore drammatico che indossa i panni dell’autore comico.
Nei suoi precedenti spettacoli è sempre stato molto poliedrico e in “Don Giovanni”?
Uno spettacolo senza un unico stile e in tutti i miei lavori ho sempre messo un po’ di dramma nella comicità e viceversa e citando Beckett, in “Finale di partita”, «Non c’è niente di più comico dell’infelicità». Ci saranno vari registri tematici e recitativi, in questo spettacolo, maturando e invecchiando, prevale un lato nero, mentre il lato leggero viene un po’ meno. Uno sguardo sul reale più drammatico e attento. Al termine faccio tornare Da Ponte: “Che inferno, che terror”, mentre io dico orror, citando “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, dal quale Francis Ford Coppola trasse Apocalypse Now e le ultime parole del capitano Kurtz interpretato da Marlon Brando sono “l’orrore, l’orrore”. Certamente il finale non lascia spazio alla speranza…
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