I polverini Eternit? Una bomba innescata. «Tanti cittadini che si sono ammalati abitavano dove c’erano i micidiali scarti Eternit»
di Massimiliano Francia
I polverini dell’Eternit?
Una bomba senza la sicura gettata in mezzo alla gente.
Nelle case, nei cortili, nelle scuole, negli asili...
È una metafora che Angelo Mancini, medico, da anni in trincea (come funzionario dell’ASL prima e del Centro regionale Amianto ora) per governare le bonifiche della polvere killer in una delle aree più inquinate d’Europa e forse del mondo ha usato ieri in aula al Processo Eternit per spiegare quanto sia insidioso e purtroppo attuale il rischio causato da Eternit in un intero territorio.
Una insidia diffusa, spesso difficile o impossibile da valutare, camuffata da materiale inerte e che invece miete ormai da decenni vittime su vittime.
Una insidia che rende tuttora attuale - per chissà quanti anni ancora - il rischio e, con esso, la necessità di restare vigili, di continuare nella paziente opera di individuazione e bonifica dei siti inquinati con i micidiali scarti regalati da Eternit per disfarsene: un chilo di detriti, due etti di amianto, di cui il 25% di crocidolite, il famigerato «amianto blu».
Reso ancora più pericoloso dai processi di lavorazione e dall’ulteriore «stress» della tornitura che rendono ancora più fini e respirabili le fibre.
Polverino che salta fuori continuamente (l’ultima segnalazione è dell’11 marzo) e che si annida anche dove è impossibile da prevedere.
Per esempio sotto al pavimento di un alloggio al terzo piano in un condominio in città.
Che poi si è scoperto essere stato ricavato in un sottotetto dopo che l’abitazione era stata elevata di un piano. E nel sottotetto era stato precedentemente messo il polverino come coibente.
Quando si fanno le bonifiche si utilizzano cautele rigorose: vestiti monouso, maschere con filtro assoluto, procedure per ingresso e uscita dall’area di cantiere.
«Procedure che ovviamente non esistono per un cittadino che va in soffitta perché deve riempire la vasca dell’acqua dell’impianto di riscaldamento...».
E poi nei cortili del castello di Casale, in scuole, asili, campi da bocce, orti, viottoli, garage.
«L’enel fa uno scavo in zona diga e salta fuori, tanti che vogliono mettere autobloccanti devono fermare i lavori immediatamente...».
Polverino che è uscito fuori (qualche centinaio di metri cubi!) nella palazzina di fronte allo stabilimento di via Oggero «dove teoricamente non doveva essercene perché si lavorava la plastica».
E tanto, tanto polverino e amianto abbandonato all’interno degli stabilimenti, sia in vista sia in stanze chiuse e misteriose intercapedini.
«Cosa sarebbe successo se fosse stato eliminato solo quello a vista e poi avessimo mandato le ruspe a buttare giù?»
Eppure aveva detto Cesare Coppo, ex tecnico del SIL, di polvere con gli svizzeri «non se n’è mai vista...».
La spia del tumore
Una consapevolezza - quella del rischio rappresentato dai polverini costruita su un dato straziante: la coincidenza - per i casi di tumore che si registrano fra i cittadini - con l’esposizione domestica a questo materiale. Un nesso talmente forte che non si trascura, ormai, di cercare i siti inquinati proprio ricostruendo la storia abitativa di chi si ammala.
»In un condominio dove c’erano stati due decessi per mesotelioma, si era trovato il polverino. E anche il proprietario della villetta in cui si bonificò il primo sottotetto a livello sperimentale morì della stessa malattia».
E le analisi dell’aria?
E le analisi sulla qualità media dell’aria che hanno dato sempre risultati confortanti?
Non rappresentano - per tutti questi motivi - uno strumento affidabile di valutazione, ha detto Mancini, perché non tengono conto della tantissime sorgenti che sono sparse a Casale e nei Comuni limitrofi, da cui si veniva con il carro a fare un carico di polverino per pavimentare l’aia o la strada di accesso a casa.
Ma hanno avuto la funzione di indurre interrogativi che hanno consentito di comprendere fino in fondo quanto sia insidiosa la minaccia del materiale friabile, facendo scelte importanti in questi ultimi anni per indirizzare le risorse disponibili per le bonifiche.
Proprio perché le concentrazioni di amianto nell’aria non spiegavano tutti quei malati e quei morti ci si è infatti orientati a cercare altrove le ragioni di quanto accadeva.
Il rischio è attuale
Mancini ha portato a Torino fotografie in cui si vedono persone - oggi - camminare sul polverino davanti al garage, poi salire in macchina e perché no attaccare il riscaldamento o l’aria condizionata...
Oppure entrare in casa diffondendo centinaia o migliaia di fibre in ambienti chiusi.
Amianto a secco e a umido
In amianto sono anche tutte le tubazioni dell’acquedotto, ma non sono una priorità, in quanto stanno sottoterra e l’amianto è nocivo per inalazione.
Ma anche in questo caso sono emersi elementi estremamente inquietanti. Mancini ha spiegato che allo scopo di valutare la pericolosità del materiale, in caso di interventi di manutenzione sono stati posizionati campionatori su un paio di operai che tagliavano un pezzo di tubo con un flessibile: «Materiale impregnato d’acqua e oltretutto tagliato con un flessibile che aveva due getti d’acqua orientati sul taglio. Ciononostante sull’operaio che tagliava e si quello che era appena fuori dal buco è stata riscontrata una quantità di fibre-litro pari a 40-60mila».
Un dato sperimentale che la dice lunga sulla tanto conclamata lavorazione a umido introdotta dagli svizzeri e presentata dai difensori di Schmidheiny come la panacea di tutti i mali.
Stephan Schmidheiny che con il belga Louis de Cartier, è accusato dalla Procura di Torino di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antifortunistiche.