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La storia
La violenza di gruppo, l’amore di un figlio e... la rinascita
Il lungo e travagliato percorso di Sandra
Una piccola casa luminosa, un giardino colorato, tende bianche e qualche gallina nel pollaio. Un piccolo e grande sogno, certamente semplice, ma non scontato, quello che conserva nel cuore Sandra, 60 anni, pugliese di origine, cresciuta con dieci fratelli, prima in un garage, poi in Collegio, poi ancora in un carcere storico nella prima cintura di Torino (come abitazione e non da detenuta), in seguito in una comunità per ragazze madri, sempre a Torino, passando anche notti sotto i ponti ai Murazzi, prima di vedersi assegnare un minuscolo appartamento alle case popolari della città Sabauda, il tutto, in decenni di freddo, fame, povertà, violenza subita, percosse e profonda solitudine.
Un racconto crudo, quello della sua vita, che ancora oggi fa male, mentre gli occhi lucidi e persi nel vuoto durante il suo racconto, ora singhiozzato, ora arrabbiato, tradiscono un passato che, ancora, Sandra non ha assorbito, accettato e dimenticato.
Il suo presente, il suo essere donna oggi, il suo aver scelto una compagna e non un compagno, probabilmente, evidentemente o indubbiamente, non possono prescindere da quello che è stato il suo passato. Sesta di dieci fratelli, nel 1958, quando Sandra nasce, la sua famiglia si trasferisce a Torino sulle “false” promesse del padre, da sempre alcolizzato, assente, misero e violento che, a fatica e arrancando, ha cresciuto o, meglio, non cresciuto la propria famiglia.
La madre di Sandra rimase incinta all’età di 14 anni e, via a via negli anni, le dieci gravidanze. «Ero piena di complessi già da bambina - ci racconta Sandra - eravamo maledettamente poveri, solo in collegio riuscivo ad avere un pasto decente e i vestiti che indossavo erano quelli della Caritas. Parlavo pochissimo, quasi mai, e quando rientravo in famiglia nel fine settimana, pulivo casa. Le mie sorelle uscivano, io no, ero… piccola? Diversa? Non so».
Sandra era un po’ una Cenerentola. La mamma, ricca di famiglia, ma ridotta al nulla per aver scelto un marito sbagliato all’età di 14 anni, rivolgeva i suoi pensieri altrove. Il padre raccoglieva cartoni e ferro in giro. Una miseria e, quando era a casa, beveva. Sandra puliva silenziosa quella casa sempre sporca e disordinata. La sua vita pareva già abbastanza provata, ma il peggio doveva ancora venire. All’età di 14 decise di scendere a Torino per farsi stirare quei lunghi e ricchi capelli, che lei voleva lisci.
Era la vigilia di Natale. Uscì tardi dalla parrucchiera e dovette ripiegare sull’autostop per rientrare. Si fermò un’auto con due ragazzi, sui trent’anni, a bordo, «un po’ mafiosetti e di origine meridionale», ricorda lei. «Salii in auto, mi fecero delle domande e, dopo pochi chilometri, mi ritrovai in una strada sterrata, dove giunsero altre tre auto di coetanei. Mi accerchiarono, spogliarono e toccarono invitandomi a fare altrettanto. Poi, in cerchio intorno a me, mi costrinsero a guardarli in un rito che, ancora oggi, mi ripugna; erano tutti volgarmente e perdutamente ubriachi. Io, dapprima, iniziai ad urlare e, in tutta risposta, mi spaccarono una bottiglia vicino al viso, minacciandomi di tagliarmi la gola se non avessi taciuto.
Il capo branco, Giulio mi pare fosse il suo nome, si calò i calzoni, altri due mi bloccarono le gambe… il resto è intuibile. Giulio non ebbe la soddisfazione desiderata. Io ripresi ad urlare e a balbettare. Mi trascinarono in auto, mi puntarono una pistola alla tempia invitandomi a tacere. Un altro ci provò… credo invano. Avevo solo 14 anni. Perché mi stava succedendo tutto ciò? Temetti di morire, non lo desiderai, ma il pensiero mi raggelò il sangue per lungo tempo. Il capo branco, era il più grande, ad un certo punto si destò e mi chiese gli anni. Riuscii a singhiozzargli “14”. Credo trasalì per un attimo, prefigurandosi eventuali conseguenze, essendo io minorenne.
Decisero di accompagnarmi a casa. Mi buttarono a terra nuda e sporca di sangue, erba e terriccio davanti alla porta, invitandomi a non farne mai parola. Ora sapevano chi ero, dove abitavo e non avrebbero esitato ad ammazzarmi, mi dissero». Rincasata che era già notte Sandra trovò il padre alticcio sul divano in preda ad un sonno profondo; la madre pronta a picchiarla, come spesso faceva. Quando la vide in quelle condizioni invece, non le alzò le mani, ma neppure la strinse a sè. «Mamma si preoccupò che nessuno venisse a sapere. Si preoccupò di mettere tutto a tacere. Quella fu la sua unica preoccupazione dicendomi, passerà». Da quel giorno Sandra iniziò un lungo periodo di afonia. Prese poi a lavorare in un laboratorio di tessuti. Lavorava, ma non parlava. A 19 incontrò Giovanni, dj in una discoteca in montagna. Rimase incinta. Lui, dapprima, le promise un futuro insieme, ma quando seppe della gravidanza, la abbandonò. Non volle più saperne, così come sua madre, che le mise le valige sulla porta invitandola ad andarsene subito.
Con un figlio in grembo al quarto mese di gravidanza, Sandra si ritrovò a dormire ai Murazzi elemosinando qualcosa da mangiare, finché una pattuglia di turno la trovò e la indirizzò alla comunità dove visse, per 4 anni, protetta, ma in un ambiente di tossici, prostitute e ragazze madri, con cui lei non aveva nulla da spartire. Crebbe il suo bambino, oggi laureato e occupato in una importante azienda informatica. Lo fece sola, ma non si arrese mai. Si mantenne facendo la colf. «Avevo bisogno di amore, di amare e di essere amata, una volta nella mia vita. Solo un figlio mi avrebbe data questa opportunità». Quattro anni fa Sandra incontra Elisa, di 3 anni più giovane di lei. Se ne innamora. Con lei rinasce a nuova vita. Si trasferisce nel Monferrato. A poco a poco si apre, si fida, si sente amata e pronta a concedersi una nuova possibilità di esistere. Sandra, oggi, sogna libertà, indipendenza, amore e una piccola casa, con il giardino, le tende bianche e le galline.
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