Sono state rese note ieri, lunedì, le motivazioni della sentenza di Appello del processo Eternit che dopo l’estinzione del reato per il belga De Cartier per «intervenuta morte del reo» ha stabilito, come noto, la condanna dello svizzero Stephan Schmidheiny a 18 anni di carcere, oltre che il pagamento di una provvisionale (un anticipo) a molte parti lese, associazioni, enti e cittadini danneggiati dalla attività dell’Eternit.
La sentenza di appello
La sentenza ricorda i nominativi degli - imputati lo svizzero Stephan Schmidheiny e il belga Louis de Cartier, accusati dalla Procura di Torino di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antifortunistiche e le accuse loro rivolte dalla Procura della Repubblica di Torino, poi elenca - nelle prime 240 pagine circa - le parti offese.
Dopo avere indicato anche le società civilmente responsabili chiamate in causa passa poi a ragguagliare sulle conclusioni: il «non doversi procedere per intervenuta morte del reo del belga», appunto, e la rinnovata richiesta dell’accusa di condannare lo svizzero a 20 anni, il massimo della pena.
La sentenza si sofferma poi sullo svolgimento del processo di primo grado, e passa in seguito a elencare sinteticamente i motivi di appello del pm, della Procura generale, degli imputati e delle parti civili.
Infine si passa al secondo grado di giudizio esaminando tutti gli argomenti uno per uno, sollevati durante le ventisette udienze svoltesi tra il 14 febbraio e il 3 giugno.
Diffusa nel tardo pomeriggio
La sentenza che ha cominciato a essere diffusa nel tardo pomeriggio di ieri andrà valutata con calma e competenze tecniche, ma qualche passaggio fa capire che anche la Corte di Appello ha colto in tutto il drammatico peso la gravità del dolo della condotta dei massimi responsabili Eternit.
Le notizie storiche
Per esempio laddove si sottolinea, tra le notizie storiche ritenute significative, che «già nel 1931 in Gran Bretagna una indagine epidemiologica condotta sopra un gruppo di 363 lavoratori identificò nell’asbestosi (chiamandola, in allora, fibrosi polmonare) uno specifico rischio occupazionale della categoria di lavoratori che manipolavano necessariamente l’amianto».
E poi ancora: «Tra la fine degli Anni Cinquanta e l’inizio degli Anni Sessanta - mentre le conclusioni sul nesso tra amianto e asbestosi erano divenute oggetto di una conoscenza ormai generalizzata - emerse che esisteva un legame tra alcune patologie neoplastiche - cioè il carcinoma polmonare e il mesotelioma - e le polveri di amianto».
Insomma che l’amianto faceva venire malattie gravissime e tumori incurabili (ieri più che oggi, oltretutto) i dirigenti di Eternit lo sapevano benissimo.
E lo sapevano... dalla notte dei tempi.
Ma nonostante tutto continuarono a lavorare anzi, a far lavorare!, la fibra killer tenendo per sé gli incassi...
Il peso del dolo
Bruno Pesce, coordinatore del Comitato Vertenza Amianto sottolinea proprio il fatto che le motivazioni calchino la mano sull’aspetto del dolo ma anche che il barone belga de Cartier non sia stato «assolto»; in realtà la pena a lui non è stata comminata solamente per la morte, intervenuta pochi giorni prima della sentenza di secondo grado.
«Se non fosse successo si sarebbe beccato anche lui 18 anni come lo svizzero - dice Pesce - e questo ha un suo rilievo dal punto di vista delle eventuali cause di risarcimento anche in sede civile che dovessero essere intentate».
Lo “scatto d’orgoglio”
E Nicola Pondrano, ex lavoratore Eternit e poi sindacalista anche lui da decenni impegnato accanto a Pesce e a Romana Blasotti Pavesi nella battaglia contro l’amianto sottolinea che
«sarebbe ora che si determinino atteggiamenti diversi nei confronti di questo imputato che non ottempera le sentenze, e che non sappiamo neanche dov’è!
«Sentiamo parlare di Eternit bis, ter e quater ma se la giustizia italiana e le istituzioni italiane non sono in grado di dare reale esecuzione alle sentenze la giustizia rischia di restare virtuale.
«Abbiamo bisogno di un salto di orgoglio che impegni le istituzioni nell’insieme per dare corso alla sentenza fino in fondo».
E proprio per questo Pondrano auspica che si proceda anche con un mandato di cattura internazionale, mentre Pesce invoca un impegno delle istituzioni per avere un quadro dei beni dello svizzero (fra le persone più ricche al mondo) in modo che questi beni vengano aggrediti per risarcire le vittime di questa strage che non accenna a fermarsi.
«Dall’inizio di questo processo a oggi - aggiunge ancora Pondrano - sono circa 200 le persone hanno perso la vita o che si sono ammalate. Sono uomini e donne di 45-50, chi era bambino negli Anni Sessanta e all’Eternit non ci ha mai messo piede per lavorare...
Li conosciamo tutti per nome è una situazione drammatica come forse non mai...».