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Intervista

L'intervista allo "scienziato del vino” Donato Lanati

Originario di Voghera, dal carattere un po’ anarchico, come quello del Grignolino

 E’ notoriamente conosciuto come “lo scienziato del vino”. Si classifica tra i top five internazionali dell’enologia. Il suo carattere è un po’ anarchico, come quello del Grignolino. La sua terra d’origine è Voghera, ma l’aura è monferrina e la fama è mondiale. Parliamo di Donato Lanati, l’enologo-scienziato, fondatore del Centro di Ricerca Enosis Meraviglia di Fubine, esperto della Commissione Enologia dell’OIV (Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino), consulente di oltre 35 aziende vitivinicole in Italia, Georgia, Svizzera, Bulgaria e Kazakistan e assertore del valore dell’acino, elemento principale, intorno al quale ruota tutto il mondo del vino. Ma chi è Donato Lanati, l’uomo oltre l’enologo? A raccontarcelo è proprio lui, con un’esclusiva in cui si rivela, al di là delle tradizionali barriere di forma, immagine e comunicazione.

Come sei arrivato nel Monferrato? Papà Amedeo era appassionato di caccia. Ci fu una battuta a Cuccaro; ricordo, che mi portò con sé. Entrambi rimanemmo affascinati dai grappoli d’uva blu, che coloravano la natura. Mi dissi che, quando sarei diventato grande, avrei voluto fare “quella cosa lì”. Poco più tardi, mio padre acquistò l’azienda agricola dell’enologo Roberto Castellaro a Cuccaro”.

Quando e come nacque la tua passione per l’enologia? “Un giorno, Castellaro mi portò a visitare la scuola di Alba. Rimasi impressionato durante la visita della Cantina Sperimentale. Dopo le medie, mi iscrissi senza esitazioni”.  

Com’era Lanati studente?Diventai bravo durante gli ultimi tre anni di superiori. Prima, ero l’eterno secondo ma, all’esame di Stato, diventai il primo”.

Poi? “Avrei voluto condurre l’azienda di famiglia ma, per mio padre, non ero ancora pronto. Proseguii, così, gli studi a Torino, laureandomi in Scienze Agrarie e conseguendo la  specializzazione in Viticoltura edEnologia”.

Com’era, invece, Donato adolescente?Una parte di me era molto insicura. Temevo di deludere e di non essere all’altezza: mi capitava tra la gente, ma anche in famiglia. Mamma Giuseppina era una donna forte e tenace: una moto da enduro, capace di superare le difficoltà, anche in ambienti sfavorevoli. Fuori pista, era vera una fuoriclasse. Ho imparato molto da lei. Papà, invece, era un uomo di grande carisma, molto intelligente e paziente. Una pazienza diretta e trasparente, non sempre diplomatica”.

Oltre la scuola?C’era la voglia di libertà e la passione per la moto, per vivere a contatto con la natura. A 14 anni mi comprarono la prima Vespa 50, poi, una Ktm 175 e una 360, più tardi, una Beta 520 e una Puch. Per le colline monferrine, necessitavo di una moto importante”.

Una passione che conservi ancora? “Sì. Ho partecipato ai Campionati Italiani; ora mi sto preparando per il Mondiale di 6 giorni in Portogallo, nella squadra del leggendario Alessandro Gritti. In moto mi rigenero e mi ricarico. Dalle gare motociclistiche ho compreso il senso della sfida, la stessa che ho trovato nel mondo del vino, dove mi è capitato anche di perdere, perché, qualcuno, ha giocato sporco”.

E’ stato doloroso? “Alle volte. Le offese più grandi sono arrivate dalle persone notoriamente più importanti”.

Come hai superato gli ostacoli? “Con schiettezza e sincerità, passo a passo, ho conquistato terreno”.

Se non fossi diventato enologo, cosa saresti oggi?Credo un Entomologo. Mi piacciono molto gli insetti, ma anche i fiori. Spesso, durante le mie escursioni in moto, mi fermo per osservarli”.

Sei anche un po’ romantico? “Diciamo, che sono molto sensibile”.  

Cosa cambieresti del tuo carattere?Forse, l’atteggiamento: avrei voluto essere più tollerante”.

Sei presuntuoso?No. Arrogante, talvolta, sì”.

Cosa sognavi da giovane? Di diventare uno dei più bravi dell’enologia”.

Ci sei riuscito. “Ho trovato la mia strada”.

Quale, il segreto del tuo successo? L’amore per la natura, lo studio, la ricerca, l’impegno e la capacità di capire le mie intuizioni. Con se stessi, come con il vino, bisogna essere onesti”.

Quali le tue soddisfazioni più grandi?Più d’una. Prima la laurea e la specializzazione, poi i consigli di Bruno Porta e l’incontro con Francesco Cima: mi diceva sempre che ero un cavallo da corsa, anche capace di impazzire; poi ancora i complimenti di Cesare Pillon e di Lugi Veronelli e gli insegnamenti dei proff Annibale Gandini e Italo Eynard. Professionalmente, infine, i risultati della ricerca, tra cui, nel 1982, l’indice contro l’ossidazione dei bianchi. Ci metterei anche la squadra di Enosis con alla quale, negli ultimi tempi, ho iniziato a trasmettere le mie conoscenze; non voglio più essere solo l’enologo star”.

Cosa pensi del vino del Monferrato? “Il vino monferrino ha bisogno del suo territorio, per trovare spazio e dignità. Vini buoni, oggi, se ne producono molti e in tutto il mondo. Il Monferrato, invece, è unico e meraviglioso. Bisogna partire dal territorio, dalla sua storia e dalla sua bellezza, per muovere le economie delle valenze enologiche”.

E se dentro un acino di uva c’è tutta la storia e la bellezza di un territorio col suo terroir, dietro al deus ex machina del vino Lanati, c’è indubbiamente la bellezza di una storia umana complessa, autentica e appassionata.

 

 

 

 

- foto di Cinzia Trenchi 


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Paolo Pensa

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