Il rischio all'Eternit. Per il perito della difesa sarebbe stato quasi zero. E la «polvere» nei polmoni come si spiega? L'INAIL chiede 225 milioni di risarcimento
di Massimiliano Francia
Poco meno di 225 milioni di euro solamente per le indennità e solamente per il periodo che va dal 1988 a oggi.
È il conteggio presentato dall’Inail ai (presunti) padroni dell’Eternit nell’ambito del processo di Torino, giunto ieri - lunedì - alla 28ª udienza.
Un conteggio ampiamente in difetto perché «non sono state considerate rendite di passaggio, cure termali e ambulatoriali», ha spiegato Roberto Martina, funzionario Inail, in quanto è tutto su materiale cartaceo.
Costi che riguardano esclusivamente i casi di «inabilità permanente dovute a malattie professionali».
Non si è tenuto conto del «valore capitale», la previsione di spesa fatta per gli anni a venire, visto che il conteggio riguarda 2164 posizioni e il 46% di queste è ancora incorso di erogazione. Ma più di tutto va rilevato che non si è ancora tenuto conto delle spese ante-1988, che riguardano un numero imprecisato di altri casi.
Quanti? Presumibilmente moltissimi.
Tutte voci che nei prossimi mesi potranno dunque essere integrate ulteriormente, come è avvenuto in questa prima fase del processo, cosa che ha indispettito la difesa del barone de Cartier, che aveva predisposto una controperizia che però non è stata presentata.
Un conteggio che dunque sembra destinato a crescere.
Il secondo perito
Ieri ha svolto la propria relazione anche il secondo perito proposto dalla difesa dello svizzero Stephan Schmidheiny accusato dalla Procura di Torino con il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de la Marchienne di disastro doloso permanente e inosservanza delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Giuseppe Nano, ingegnere, docente al Policlinico di Milano, ha svolto una relazione diligente, documentata e precisa, astuta e prudente, senza mai sconfinare in ambiti che non fossero squisitamente tecnici ed evitando con estrema cura di avventurarsi in valutazioni sull’argomento della pericolosità e degli effetti causati dall’amianto, ambito di competenza - ha detto - di medici e non di ingegneri.
Insomma una relazione ispirata al classico «fa fine e non impegna...».
Tutto il contrario del perito della scorsa settimana - il professor Cecchetti - che aveva cercato di ribaltare la realtà, in parte affidandosi a ricordi personali, in parte a ipotesi generiche, in parte ad informazioni molto discutibili o errate.
Il quesito rivolto al perito
La richiesta avanzata dalla difesa era di ricostruire gli interventi tecnici che possono avere determinato miglioramenti per la sicurezza e per l’ambiente nei quattro stabilimenti, compito svolto con documenti utilizzati finora nel processo, incrociati con le perizie tecniche svolte negli anni nei vari stabilimenti, ha precisato il perito.
Si è poi soffermato sulla «verifica della efficacia degli interventi» e nell’ultima parte sulla «rispondenza alle norme di buona tecnica».
Uno spicchio di realtà
Insomma, la strategia della difesa è parsa questa: provare a mettere al centro dell’attenzione uno spicchio di realtà invece dell’insieme, uno spicchio (evidentemente) scelto con cura e che potesse risultare favorevole all’imputato.
L’esame ha teso a dimostrare che negli stabilimenti Eternit i macchinari erano dotati dei più efficaci sistemi di aspirazione delle polveri e che nel tempo, sulla base dei dati disponibili e aiutandosi dove non lo erano con elaborazioni matematiche la presenza di polveri e il relativo coefficiente di rischio sono andati via via scemando, con un crollo vero e proprio che ha corrisposto con la gestione svizzera.
Tutto ciò rapportato con le conoscenze tecniche e scientifiche dell’epoca.
In un caso Eternit sembrerebbe persino avere anticipato i tempi dotandosi di un macchinario per l’apertura dei sacchi (fotograto nel 1980 ma presumibilmente in azienda da metà anni Settanta!) migliore del miglior progetto pubblicato da una rivista americana nel 1974, ha spiegato Nano.
I punti deboli
I punti deboli sono però emersi chiaramente a fronte delle domande rivolte dal pm Gianfranco Colace, dagli avvocati delle parti civili e dal presidente del Tribunale Giuseppe Casalbore.
Quest’ultimo ha chiesto conto a Nano di illustrare il significato della parola «rischio», una parola usata come fosse un concetto astratto, matematico, a cui Nano ha dato un significato puramente «ingegneristico» ma usata in un processo in cui si parla di migliaia di morti.
Il rischio quasi zero...
«Rischio» che però nelle elaborazioni del tecnico assumeva in corrispondenza della gestione svizzera addirittura vicino a zero: circa 1, circa 0,2... Anche se per l’Eternit si moriva e si muore.
«Il rischio è un fatto statistico-matematico, la percentuale di limite adottato...», ha detto il tecnico.
«Per chiunque e per un giurista a maggior ragione equivale a pericolosità», ha replicato Casalbore.
... che non spiega i morti
Un modello matematico che non dà nessuna risposta se si cercano risposte e responsabilità relative al danno subito concretamente e innegabilmente da persone che sono esistite: nate e morte in un determinato posto e per una determinata causa.
Un passaggio pesante che ha messo sulla relazione del perito una grave ipoteca, in quanto esercizio corretto ma parziale, teorico, inutile, perché risponde al quesito di una parte ma non offre spiegazioni sui fatti oggetto di contestazione al centro del dibattimento.
Se i sistemi di aspirazione erano presenti ed erano i migliori, se erano così efficaci come è stato affermato, come si spiegano le migliaia di morti e malattie causate dall’amianto? E soprattutto l’asbestosi (malattia da accumulo!) che si verifica solo in presenza di massicce e prolungate esposizioni alla fibra?
Le domande degli avvocati
Questione di sostanza che Nano aveva dribblato abilmente rispondendo a una domanda dell’avvocato Laura Mara, Medicina Democratica, che gli aveva chiesto se per realizzare un impianto efficace nel campo della ventilazione industriale occorre conoscere volumi degli ambienti e portata del sistema di aspirazione.
«Nelle ventilazioni generali sì, nelle ventilazioni locali, che sono le uniche prese in considerazione nella mia relazione, no...». Quasi a dire: la domanda non è pertinente!
E allo stesso pm Colace al quale aveva risposto in merito alla polverosità e all’efficacia dell’impianto di aspirazione: «Il volume della stanza non ha nessuna influenza. Conta il rapporto tra quanto si genera e quanto se ne porta via».
Però!
La risposta l’ha data implicitamente lo stesso perito rispondendo a una domanda avanzata dall’avvocato Sergio Bonetto: «Mi è parso di capire che non si è occupato del ricambio generale d’aria».
Nano: «No, non me ne sono occupato». Bonetto: «Può rilevare sul piano scientifico dal punto di vista del rischio l’aria in generale o solo quella locale»? Nano: «Certo, quello che rileva è la condizione generale...».
Tutto sotto controllo?
Insomma o si ha la certezza che tutte le fonti di emissione di polvere erano sotto controllo, che tutte le polveri venivano captate, oppure gli aspiratori sui singoli macchinari (quelli locali) possono sì limitare la dispersione delle fibre ma non il rischio legato a un ambiente generalmente e genericamente inquinato. Così come a una seconda domanda avanzata sempre dall’avvocato Mara apparsa più insidiosa: «Ritiene che i valori dai quali ha ricavato gli indici di rischio che ci ha presentato negli istogrammi siano rappresentativi della esposizione reale?»
Nano: «Non posso dire né sì né no; è un confronto di ordini di grandezza».
Insomma non si può smentire il lavoro svolto ma non si può neanche affermare che sia significativo per capire quale fosse la situazione di rischio reale in cui vivevano i lavoratori. E a questo punto la domanda è: ma allora tutto questo lavoro a cosa è servito?
Domande senza risposta
E tante tante altre domande restano senza risposta...
Come mai la percentuale della fibre precipita - ha evidenziato il pm - già nel 1973 se gli investimenti e i processi a umido cominciano dal 1974? E come mai non si è entrati nel dettaglio degli interventi per spiegare cosa si è fatto per la sicurezza: quali interventi, quando, su quali macchinari e in quali reparti? Perché non sono state indicate le cifre di quegli interventi in modo preciso: quanto si è speso per fare cosa?