Eravamo entrati l’ultima volta nella chiesa di Santa Maria sulle Mura per un evento doloroso, un grosso furto che aveva in pratica svuotato il tempio, allora sotto la giurisdizione di Sant’Ilario e ricordiamo ancora il dolore del parroco don Luigi.
Ora ci entriamo per un fatto lieto: un battesimo. Ma bisogna dire subito che da gennaio la chiesa è sede della parrocchia ortodossa romena di San Giovanni di Valacchia retta da padre Mihai Mogosescu (a noi vien da chiamarlo il pope), e gli arredi sono completati da belle icone. I parrocchiani sono settecento dal Casalese alla Lomelina. La chiesa è aperta (e ahimè fredda nonostante i funghi a gas) per la cerimonia del battesimo ortodosso di Andrei, un bel bambino di Valle Lomellina. Il rito, ci spiega il “pope”, comprende i tre sacramenti del battesimo per immersione (tre volte nel nome della Trinità), della cresima e della comunione seguito dal taglio di tre ciuffi di capelli che è una benedizione.
Questo in linea di massima l’orario delle funzioni della settimana: lunedì ore 19: Inno Acatisto, preghiera per gli ammalati, mercoledì ore 19, vespro; giovedì ore 8,30, divina liturgia; venerdì ore 19 Inno Acatisto; domenica ore 8,30: Ufficio mattutino e Divina liturgia.
Una storia miracolosa
La chiesa di Santa Maria sulle Mura, più nota come “La Madonnina”, rappresenta la pagina più poetica della devozione popolare della città-fortezza perennemente assediata dalle milizie fronco-spagnole. Fin dal 1627 l’immagine della Madonna con il Bambino e i santi Evasio e Patrizio, affrescata una decina di anni prima sulla facciata di una casa medievale in cantone Lago, si mise a lacrimare, infausto presagio delle imminenti sventure. Ma la commissione, nominata dal vescovo mons. Scipione Agnelli, dimostrò che si trattava di un fenomeno del tutto naturale. Con la crescita della devozione popolare alla Vergine, la “frascata” posta a prima protezione della portentosa icona venne sostituita da una piccola cappella, sempre più angusta per il numero crescente di fedeli.
Nell’aprile 1663 il soldato Carlo Minado venne convocato da Cristoforo Varisio, vicario della curia vescovile, per chiarire una serie di guarigioni miracolose di cui era stato testimone davanti all’immagine affrescata sulla casa di suo cugino Pietro Verrone. Nel frattempo, grazie alle abbondanti elemosine raccolte da Antonio Maria De Giovanni e con l’aiuto del segretario di Stato Lodovico Porro, dei signori della Sala, anch’egli miracolato, ottenuta l’autorizzazione del duca Carlo II Gonzaga-Nevers furono demoliti alcuni edifici contigui (1668) per costruire una chiesa vera e propria su progetto dell’architetto Sebastiano Guala. Il nuovo tempio venne consacrato nel dicembre 1675 dal casalese Carlo Antonio Gozzani dei conti di San Giorgio, vescovo di Acqui.
Del resto pochi anni prima tra le numerose guarigioni ottenute invocando la Madonna, i documenti ricordano anche il caso di un certo Antonio Gozzani (forse parente del vescovo), che “nel 1663 donò un voto d’argento per la salute recuperata da un suo figlio morto per tre ore”. Due anni dopo, il sacerdote Francesco Bonelli lasciò con il suo testamento segreto erede universale dei suoi beni di Occimiano la Madonnina con l’obbligo di un cappellano per la celebrazione delle messe. Animata dal concorso dei devoti della città e del circondario spinti dalla simpatia e dalla speranza, in breve la nuova chiesa divenne un vero e proprio santuario mariano cittadino. Assai curiose sono le note compilate nel gennaio 1741 da don Matteo Bolzoni, rettore della Madonnina, in difesa dei suoi diritti contro le assurde richieste dei carmelitani di Sant’Ilario, che volevano addirittura far “resigare” dal muro l’immagine miracolosa da trasportare nella loro chiesa. Ma un precedente decreto episcopale di mons.
Girolamo Francesco Miroglio aveva già stabilito la dipendenza della chiesa di Santa Maria “sopra il fosso” direttamente dal vescovo con diritto di nomina del cappellano. Solo nel 1889, dopo l’abbattimento della cinta muraria che impediva l’ampliamento della chiesa verso settentrione su disegno dell’ing. Cavallero sorsero il vestibolo, la tribuna e la gradinata protetta da una cancellata con l’accesso principale su viale Morozzo San Michele e l’ingresso secondario sulla via Saletta.