Il 25 aprile e Cavallero: dissenso radicale alle propensioni revisioniste della Giunta di Casale
di Alberto Deambrogio - Circolo PRC FDS Casale
il 25 aprile di quest’anno si presenta a Casale come altrove particolarmente amaro e chiama a una mobilitazione consapevole. Il pareggio di bilancio inserito in Costituzione con voto spaventosamente unanime del Parlamento e senza la possibilità per gli italiani di pronunciarsi con referendum è il tagico viatico che, proprio in giorni così significativi, porta a un rovesciamento completo del dettato costituzionale: al centro non i diritti, ma la finanza.
Partecipo alle celebrazioni casalesi anche per rappresentare il mio dissenso radicale da quella scelta e per far vivere, ancora e ancora, una netta alterità rispetto alle propensioni revisioniste del sindaco Demezzi (e di chi la pensa come lui) culminate nella “vicenda Cavallero”. Demezzi l’ha già detto più volte e certo lo ripeterà: serve la pacificazione nazionale. Non solo lui ultimo epigono, ma tutti i revisionisti sostengono questo. Va fatta finalmente, dicono, la scoperta coraggiosa di una “verità” troppo a lungo celata dai vincitori del ’45. La riscrittura della storia viene presentata come il ristabilimento della verità che assume il valore di una operazione catartica necessaria per accedere a una “pacificazione nazionale” che espunga dalla storia i due poli che si sono scontrati: il fascismo da un lato, l’antifascismo, il comunismo e la lotta di classe dall’altro. Poco importa che uno abbia portato il Paese in guerra a fianco dei nazisti e gli altri abbiano costruito la democrazia in Italia. L’obiettivo strategico del revisionismo è la parificazione dell’ipotesi di trasformazione sociale, comunista in primis, al nazismo al fine di poter espiantare dall’oggi e dal domani del paese ogni possibile alternativa all’attuale sistema economico. L’implicazione è dunque politica di lunga durata. La sgangherata e ripugnante “vicenda Cavallero” si inscrive in questa logica: basta opposizioni perché entrambe le parti hanno avuto meriti e demeriti, eroi e miserabili, rendiamo onore a chi di dovere e passiamo oltre in un presente continuo e immodificabile.
A Demezzi e a tutti i “pacificatori” intendo dire che non esiste una memoria condivisa, non esistono “miti fondatori” effettivamente condivisi. Lo è stato per lungo periodo la Resistenza ma oggi non lo è più, come non lo è l’Unità d’Italia. Esistono due narrazioni “principali” del Paese: la prima vede nel fascismo una fase barbarica, nella Liberazione la resurrezione anche morale del paese, nella lotta del movimento operaio il compimento della Liberazione, nel ‘68/’69 il punto forse più alto di questa storia patria e nella successiva offensiva reazionaria un ritorno a molti degli aspetti barbarici del fascismo. L’altra narrazione vede nel fascismo un regime discutibile ma utile al paese, che ha avuto l’unico torto di andare in guerra con i nazisti. Vede nella Resistenza il tentativo di instaurare una dittatura comunista nel Paese, evitata solo dalla presenza dell’esercito alleato; vede gli anni ‘50 e ‘60 come quelli del miracolo economico guidati dalla grande industria, miracolo interrotto dalle disgraziate lotte degli anni ‘70 che hanno imbarbarito il paese, prodotto il terrorismo e gonfiato l’esercito dei pubblici fannulloni. Questa assenza di una memoria condivisa del Paese e il fatto che le classi dominanti ed in particolare il berlusconismo si siano collocati in continuità con il sovversivismo delle classi dirigenti che ha portato al fascismo, spiega poi molto della differenza tra la destra italiana e le destre europee. La destra inglese, come la destra francese o quella tedesca sono destre antifasciste e considerano la guerra antifascista un tratto fondante la loro identità.
A Demezzi, infine, voglio dire che siccome non mi sfuggono, come credo di aver sinteticamente dimostrato le implicazioni più generali del suo revisionismo continuerò a lottare affinchè il “piccolo cabotaggio” delle dediche a Cavallero sia collocato nella giusta dimensione. L’opposizione al revisionismo storico imperante non è solo compito culturale ma anche compito immediatamente politico. Si tratta di ricostruire su basi di massa la legittimità storica, culturale, politica e morale di una proposta di trasformazione sociale nel nostro Paese e, in piccolo, pure in città. Si tratta semplicemente di capire che quella proposta politica è muta se non ha una prospettiva storica. La definizione di quest’ultima chiede necessariamente il riconoscimento, la rivendicazione e in ultima analisi la definizione della “propria storia”. Ma qui Demezzi non c’entra niente, c’entra invece in pieno la sinistra.