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Si apre il sipario
Tutta la genovesità di Mauro Pirovano per "Pignasecca e Pignaverde"
Al Municipale sold-out venerdì 28 marzo alle 21

L’esito entusiasmante dei “Manezzi per maritare una figlia” di Gilberto Govi, che nell’arco di ottanta repliche ha divertito ed emozionato una platea di 50.000 spettatori, non poteva che preludere ad una nuova avventura con l’altro grande classico del magistrale repertorio di Govi: “Pignasecca e Pignaverde”, già tutto esaurito venerdì 28 marzo alle 21 al Teatro Municipale di Casale. Così Tullio Solenghi, regista e interprete – firma anche l’adattamento assieme a Margherita Rubino – sulle scene e i costumi disegnati da Davide Livermore, dà corpo e voce a Felice Pastorino, protagonista della celebre commedia scritta da Emerico Valentinetti nel 1957.
A fianco di un principe della comicità come Solenghi (intervistato lo scorso anno per i Maneggi), c’è Mauro Pirovano, cugino Alessandro o meglio Pignaverde. Marcello Cesena, Maurizio Crozza, Ugo Dighero e Carla Signoris, oltre a Pirovano, erano i Broncoviz, ve li ricordate? Una grande scuola genovese… E proprio Pirovano ci racconta questa nuova avventura sul palco.
Come ha inizio questo viaggio con Tullio Solenghi?
Io e Tullio ci conosciamo da una vita: ci siamo sempre incrociati, lavorando tanto con Massimo Lopez nella fiction e quando andavo a vederli a teatro lo ritrovavo sempre, sin dai tempi del Teatro Stabile. Era già un attore affermato. Poi ho sempre lavorato nel Genovese, con monologhi shakespeariani, e allora ci siamo rivisti nuovamente e da lì fu un incontro particolarmente positivo, trovandoci subito in sinergia. Mi ha fatto un regalo enorme con Govi, da attore genovese… tutti arriviamo da lui. Abbiamo tutti la stessa matrice...
Cosa rappresenta Govi per un comico genovese?
Ho ricevuto il premio Govi nel 2008 e Govi ha sempre rappresentato qualcosa di grande. Vedevo le sue commedie in televisione, da quando mio padre ha installato la tv in casa. Ebbi la fortuna di conoscere la moglie di Govi, quando ero in giro per tournée… Nel calarci in questa commedia, abbiamo affrontato questo testo con molto rispetto. Al Teatro della Corte di Genova tutte le sere abbiamo il tutto esaurito e la platea partecipa a questa festa collettiva. Il coinvolgimento del pubblico diventa naturale e a sessantacinque anni dalla morte di Govi, il soggetto diventa un modo di essere che ancora oggi tutti apprezzano, con sold-out in tutte le piazze dove andiamo. Molti ci dicono che dovremmo parlare più genovese, in realtà diventa importante la cadenza per rendere lo spettacolo più “digestivo”.
Chi è il cugino Alessandro o, meglio dire, Pignaverde?
Pignaverde pende dalle labbra di Pignasecca perché ha più esperienza in tirchieria… Qui difendo la genovesità e la considererei parsimonia. Govi diceva che la tirchieria era un difetto, mentre il risparmio era un pregio. Il genovese ha un’attenzione al soldo… Questo testo proviene da un lavoro di Martin Piaggio, la cui poesia era stata ripresa da Emerico Valentinetti. Quando cominciammo con Tullio, ci disse di guardare anche all’Avaro di Molière, a Plauto… Io lavoro molto sulla sofferenza di riuscire a risparmiare, Pignaverde apprende dall’esperto Pignasecca, più anziano di dieci anni e così si innesta un gioco.
Cosa significa lavorare in questa compagnia, composta anche da tanti giovani?
Il nucleo di attori è compatto ed è per la maggior parte proveniente dai “Maneggi per maritare una figlia”: su otto attori sei sono gli stessi della scorsa stagione. Le new entry siamo io e Claudia Benzi: abbiamo sempre frequentato il dialetto genovese, infatti abbiamo un laboratorio al Teatro dell’Ortica. Il dialetto rimane la parte più intima e arcaica della recitazione: il regista dell’Emilia Romagna Teatro mi diceva sempre di pensare quella frase prima in dialetto e poi in italiano… Da 20 anni non frequentavo teatro di compagnia e quindi avevo un po’ di timore, ma con loro mi trovo benissimo anche da un punto di vista umano, non solo artistico. Siamo molto affiatati e per questo dobbiamo ringraziare Tullio, ha creato un bellissimo climax di divertimento sia sul palco che dietro le quinte.
Tracciamo dei paralleli tra gli anni dei Broncoviz, il grande cantautorato genovese e l’oggi con questa nuova linea che abbiamo visto a Sanremo. Al centro, una città…
Sono stati anni meravigliosi, undici anni tra Archivolto e Broncoviz. C’era molta effervescenza, avevamo tante opportunità negli Anni ‘90. C’erano anche i Cavalli Marci, quindi Genova aveva una grande visibilità. Oggi c’è di nuovo il cantautorato, allora posso dire che questa città va un po’ a cicli, basti vedere il grande gruppo di violinisti cresciuti con Paganini, quindi non so… sarà la Macaia (la foschia) che arriva dal golfo o la focaccia, insomma, si creano situazioni interessanti che nascono dal niente. Per quel che riguarda i comici, noi abbiamo un’alchimia strana con questa città. Come ho detto prima Govi è il sole e noi siamo i pianeti che girano attorno a lui. Lo humour genovese non è inglese, ma ha bisogno di situazioni comiche per rendere partecipe il pubblico. Io e Tullio abbiamo avuto come madre artistica Lina Volonghi che ci ha insegnato a comportarci in un certo modo sul palco…e lei ha recitato anche con Govi, quindi tutto torna.
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