Domenica 8 maggio alle 10 in piazza Ferrero a Moransengo don Martino Michelone, parroco del paese all’epoca dell’occupazione nazista sarà dichiarato “Giusto tra le Nazioni” (alla memoria, il riconoscimento lo riceverà un erede) per aver salvato una famiglia ebrea (i Segre di Casale) dallo Yad Vashem, l’istituzione che onora la memoria delle vittime della Shoah. Sarà presente l’ambasciatore israeliano Ghideon Meir . Don Michelone era originario di Morano e dal paese monferrino giungerà una delegazione guidata dal sindaco Enzo Piccaluga e dal vice Mauro Rossino per sancire il gemellaggio tra i due Comuni e le due parrocchie (quest’ultimo promosso da don Umberto Borello). La vicenda era stata portata alla luce da Gad Lerner e da Luciano Segre nel 2008 in Sinagoga in occasione di OyOyOy! Ospite tra il pubblico anche l’ex presidente del consiglio Romano Prodi (che potrebbe essere presente anche a Moransengo). La comunità ebraica sarà rappresentata da Claudia Debenedetti, vice presidente Ucei.
«Prendi la tua famiglia e venite a nascondervi in canonica da me». Questo l’ordine perentorio che don Martino Michelone diede a Riccardo Segre, alla moglie Angela, alla sorella Elvira e al piccolo Luciano, che del parroco di Moransengo ricorda le mani grandi come badili usate per punire le sue piccole marachelle. Rifugiatisi prima a Cogne, la famiglia Segre giunse in ritardo all’appuntamento per la fuga in Svizzera, scampando miracolosamente nel settembre del 1943 all’eccidio dell’Hotel Meina (rievocato recentemente dal film Carlo Lizzani). Seguì la fuga a Castino, nelle Langhe, dove Riccardo contrasse una grave infezione al polmone e infine la meritata salvezza grazie all’ospitalità di don Michelone, che a Casale era assiduo cliente del negozio di tessuti di proprietà della famiglia sotto i portici lunghi.
Il coraggioso parroco, sostenuto dall’intero paese, riuscì a recuperare tra i medicinali paracadutati dagli inglesi la penicillina per curare la malattia polmonare di Riccardo Segre. Per completare il profilo biografico di don Martino, è indispensabile l’intervista di Patrizia Novarese e Delia Fasoglio ad Esterina Fasoglio, per molti anni perpetua di don Michelone, pubblicata nel bel volume “Moransengo tra storia e memorie del tempo”, curato da Susanna Chiesa e Piero Perdomo, pubblicato dall’Amministrazione Comunale nel 2007. “Martino Michelone nacque l’11 giugno 1907 a Morano Po, rimase orfano di madre in tenera età; per questa ragione fu il padre ad occuparsi di lui sino a quando, raggiunta l’età della scuola, decise per una buona istruzione e, quindi, lo affidò ad un collegio di frati francescani a Vercelli. Finiti gli studi, Martino si accorse di avere una propensione verso la religione, di conseguenza decise di entrare in seminario dove concretizzò il suo desiderio di diventare sacerdote. Questo avvenimento accadde il 29 giugno 1932: fu ordinato sacerdote dal Vescovo Albino Pella. La sua prima messa l’ha celebrata nel suo paese natio. Viene mandato a Ozzano come curato, ad aiutare il parroco; dove si fermerà per quattro anni. Il 14 novembre del 1936 viene nominato parroco di Moransengo, dove succede ad Alessandro Raiteri. Con il nostro «Prevosto», nella casa parrocchiale, venne ad abitare suo padre con la seconda moglie, Grosso Caterina; quando il marito morì, la matrigna si trasferì a Morano Po”. Oltre alla missione sacerdotale, don Michelone fu fondatore di un coro parrocchiale, organizzatore di gare ciclistiche e corse podistiche, oltre a battersi per riportare l’indipendenza municipale del piccolo borgo di Moransengo dal comune di Coccolato, da cui dipendeva.“Don Martino - si legge più avanti nell’intervista - rimase Parroco di Moransengo dal 1936 per oltre 40 anni e parroco di Tonengo per 11 anni, gestendo entrambe le parrocchie fino alla sua morte. Si possono ricordare, a questo punto, degli eventi che hanno unito il prevosto con la popolazione di Moransengo. Si ricorda quando Don Martino volle installare il telefono nella casa parrocchiale, ma si verificò un disguido: per poter dare la linea, dovevano esserci almeno cinque utenti. Quindi si prodigò per trovarli, infatti il primo fu il signor Turati, all’epoca padrone della cascina Bolasso. I signori Montagnino furono i secondi, i Shabert che avevano comprato il palazzo Maiaris e ultimi al Castello la famiglia Volante. E proprio grazie al signor Volante, che lavorava alla SIP, tutto questo si poté attuare. La prima televisione l’ha avuta Don Martino, grazie alla famiglia Rovera, donatagli in occasione della maturità del figlio Giovanni, ora professore per la ricerca sulla leucemia a Boston, in America. Una delle prime auto di Moransengo era guidata dal nostro «prevosto», gli era stata donata dal signor Milanesio di Cocconato”.
IL TOUR
Moransengo: google indica tre itinerari per raggiungerlo il vice sindaco Piera Sesia un quarto da Castell’Alfero noi ne sperimentiamo un quinto: Valle Cerrina, Pirenta, freccia vista al volo di Marcorengo quattro chilometri, strada in costa, si supera un agriturismo, la frazione Cappa un bivio misterioso dove ci fa da Caronte un trattorista con annesso cane Flick e finalmente entriamo nella piazza del paese delimitata da chiesa, casa parrocchiale e Municipio. Fervono i lavori per la cerimonia programmata domenica
Ci attende proprio il vice sindaco che ci apre (il parroco è fuori sede) la chiesa di S. Agata e S. Vitale e subito rendiamo omaggio alla lapide che ricorda don Michelone.
Belli i quadri nelle cappelle laterali, manca purtroppo un paliotto dei fratelli Solari rubato a suo tempo con un fonte battesimale in legno. Di rilievo anche il pulpito ligneo con lo stemma dei Mazzetti di Saluggia. Sulla volta l’affresco è di Pier Luig Borla, trinese (lo segnaliamo alla figlia che sta lavorando a un libro sul padre). Con un po’ di emozione entriamo nella canonica, saliamo al primo piano, tutto è rimasto come nel periodo bellico, compresi, in un armadio, gli abiti talari, piviale, rocchetto dei tempi di don Michelone e dei suoi rifugiati ebrei. Ci affacciamo da un piccolo ballatoio, un volo sulla valle verde e possiamo immaginare i sogni di libertà di Luciano Segre. Non c’erano allora le torri di Leri Cavour. Il telefonino non prende; è un bene o un male?
La signora Sesia ci porta (guida brillantemente il suo cross-over) in un mini tour prima al castello (proprietà privata, all’interno San Grato romanica prima parrocchiale) e alle frazioni, ma ci piacciono le edicole religiose che sbucano tra le fornde, altro segno che il tempo si è fermato in una dimensione di valori contadini che non hanno prezzo.
Al cimitero altro omaggio alla tomba di don Michelone (‘‘canonico della cattedrale, parroco per 43 anni’’) e a quella di suo padre anche lui Martino, anche lui moranese, morto nel 1942.
Saluti finali sulla piazza alla presenza di Enrico (Ricu) Fasoglio, 86 anni ‘‘Sono il più vecchio del paese’’. Ricorda tutto anche perchè la sorella Esterina era la perpetua di don Michelone: ‘‘Ero amico di Luciano Segre, veniva a casa mia, oltre il cimitero, tutto il paese sapeva del rischio che si correva per il rifugio agli Ebrei, ma lo si faceva’’.
Aggiunge un particolare non noto: ‘‘I Segre avevano documenti falsi intestati a Morando, cognome della famiglia materna’’.