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  • 26 gennaio 2012
  • Casale Monferrato

"Cesare Balbo, un ritratto di famiglia", l'opera di Chantal Balbo di Vinadio raccontata da Roberto Coaloa

Oggi, venerdì 27 gennaio (ore 17) a Casale Monferrato, presentazione del libro di Chantal Balbo Di Vinadio sul suo avo: "Cesare Balbo. Un ritratto di famiglia". Prefazione di Roberto Coaloa. (Neos Edizioni). Intervengono con Chantal Balbo di Vinadio Roberto Coaloa, Marco Gatti e Dionigi Roggero. Si festeggiano i centocinquant'anni del Liceo Classico Cesare Balbo, uno dei più antichi e prestigiosi del Piemonte. Chantal Balbo di Vinadio riesce nella difficile impresa di rendere un libro di storia appassionante come un romanzo e di conferire a questa sua fatica letteraria, «Cesare Balbo, un ritratto di famiglia» quell’inimitabile sfumatura affettiva che solo un argomento autobiografico può consentire. Autobiografico in modo originale: perché il protagonista di questo volume è Cesare Balbo, antenato di Chantal (Cesare è il suo quadrisnonno) nonché uno dei Padri nobili del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. Lo stesso Cesare Balbo è autore di una celebre autobiografia. Inevitabile una proficua influenza sulla nipote, poiché le scritture autobiografiche hanno molto da dire agli storici, ovviamente non solo come pura e semplice fonte. La constatazione nasce in chi scrive da un ormai lungo rapporto con le cosiddette fonti «primarie» o «soggettive» (altrimenti dette, con celebre definizione, «scritture dell’io», dallo studioso Georges Gusdorf), sempre più segnato dalla persuasione che sia opportuno ancorarle al loro contesto: e dunque vale, da un lato, a rivendicare agli storici quella capacità di attenzione agli aspetti formali dei testi che spesso viene loro negata, ma anche a recuperare pienamente le peculiarità del sapere storico in relazione a quelle fonti; dall’altro, a segnalare che un’autobiografia, in quanto discrezione di una soggettività vissuta in un dato tempo e luogo, e che può essere stata del tutto ignota oppure importante, è in grado di contribuire in modo rilevante alla conoscenza storica. In realtà, lo storico sente che una «scritture dell’io», quale che sia il suo valore stilistico, può mettere a nudo il mélange peculiare di ogni vita umana, e cioè la coesistenza di interiorità e socialità, lo scarto tra il dato immutabile della condizione umana e la continua evoluzione delle circostanze che la contengono e ne condizionano lo sviluppo esistenziale e l’approccio culturale; e poiché la sua ambizione principale, quella che Marc Bloch ha definito il suo «oggetto peculiare», è cogliere «lo spettacolo delle attività umane» nel suo dispiegarsi nel tempo e nello spazio, può accadere che un’autobiografia ne catturi l’attenzione in modo assorbente. Mi soffermo su questi aspetti “tecnici” di una questione letteraria per rilevare - da storico - l’importanza del contesto, che nel lavoro della scrittrice in questione è colto pienamente nell’ascolto del suono di una singola voce, quella di Cesare, il tipico uomo di Stato e intellettuale del Risorgimento. Il torinese raggiunse l’apice della carriera l’8 marzo 1848, quando formò a Torino il primo ministero costituzionale del Regno di Sardegna e sostenne la guerra contro l’Impero d’Austria. Intorno a questa eccezionale figura prendono vita, nelle pagine del libro di Chantal Balbo di Vinadio, tutta la sua famiglia, gli amici, i collaboratori, la Casa reale, la vita quotidiana della Torino di metà Ottocento e i grandi avvenimenti storici dei quali Balbo fu protagonista e testimone. Una lettura appassionante e piacevole, scrupolosamente documentata ma provvista di tutta l’emozionante freschezza di un vero e proprio «ritratto di famiglia». Ci sono pennellate da grande romanzo ottocentesco: ad esempio nelle pagine dedicate alla sfortunata campagna militare della Prima guerra d’indipendenza, quando Balbo perse uno dei suoi figli a Novara. E davvero, il racconto della vita di Cesare Balbo è degno di un romanzo alla «Guerra e pace». La famiglia Balbo sacrifica i suoi figli nei conflitti che sconvolsero il continente nella prima metà dell’Ottocento. All’inizio c’è anche Lui, Napoleone, «cet Antichrist» (come lo chiamava la ben nota Anna Pavlovna Šerer nel romanzo di Lev Tolstoj), che infiammava l’Europa con le sue avventure dalla Spagna alla Russia, attirando a sé i giovani hommes d’esprit piemontesi. Ci sono Luigi Provana, Luigi Ornato, Ferdinando e Cesare Balbo, Casimiro Massimino, Cesare di Romagnano, l’abate Alessandro d’Angennes, Paolo San Sebastiano, Carlo Guasco, Giuliano del Melle, Luigi Grimaldi e Roberto d’Azeglio. Tra loro primeggia Carlo Vidua, conte di Conzano, nato a Casale il 28 febbraio 1785. Ed è proprio lui ad essere il mentore di Cesare Balbo, il confidente, l’amico intimo. Tra il 1810 e il 1812, Vidua discute con Balbo della sua profonda crisi esistenziale, cagionata dall’indecisione di dedicarsi a un’attività letteraria o a una carriera amministrativa o militare. È lo stesso Vidua a consigliare gli studi storici a Balbo. Il sottoscritto ha rilevato, pubblicando una lettera inedita di Balbo («A Carlo Vidua dell’Istoria. Lubiana settembre 1811», pubblicata nel 2003 nel mio saggio «Carlo Vidua, un romantico atipico»), il debito del torinese nei confronti del nobile viaggiatore monferrino: «Io già t’ho detto, Amico Carlo, che ti parlerò oggi d’istoria. Ogni genere di letteratura è occupato in Italia, ed ogni altro meno che questo è tale che da uno solo o da pochi al più può essere occupato. Ma dell’istoria rinnovandosi gli avvenimenti eternamente, si rinnova la materia, e la varietà di questi avvenimenti fa sì che non mai ne possa essere inutile o indifferente la narrazione. Tanto più poi ciò è vero in questo secolo, in cui tali e tanti sono gli avvenimenti accaduti e quelli forse da accadere che dovranno per se stessi interessare ogni futura età». Costretto dall’esilio a vivere a vita privata, memore degli insegnamenti di Vidua, il torinese si decise finalmente a fare oggetto di studi prima, di meditazione poi, la storia d’Italia, con il preciso intento di trarne un programma di azione politica e nazionale. Chantal Balbo di Vinadio approfondisce il noviziato culturale del suo antenato, quando, “giovane alfieriano-foscoliano”, corrispose con le menti più raffinate della sua epoca. Si nota nei primi anni della formazione di Balbo l’importanza dell’amicizia. Le sue molte letture, i suoi svariati interessi, ma anche l’assidua frequentazione del “mondo” comme il faut, consentiranno a Balbo di comprendere meglio lo spirito della sua epoca. Inoltre, la sua figura emerge anche nella sua dimensione privata come uomo, sposo e padre. Nel 1823, Cesare sposa Félicite de Villeneuve, figlia del Tesoriere di Parigi e pronipote del famoso cancelliere di Francia Henri-François d’Aguessau. Con Lei, Balbo trascorre l’infelice confino a Camerano. Nel 1833 muore la moglie, lasciandogli otto figli. Balbo, dopo un periodo di malattia e di grande depressione, sposa nel 1837, Luisa Galeani Napione, figlia di Gian Francesco, e vedova del conte della Piè. Provato dal biennio 1848-49, quasi cieco, Balbo troverà conforto nella sua grande famiglia, scrivendo come sempre, morendo a Torino il 3 giugno del 1853. Grazie a Chantal Balbo ora abbiamo un profilo dello scrittore torinese assai perfetto. Nato a Torino il 21 novembre 1789, Balbo emerge tra i giovani della sua epoca come un uomo dotato di enorme energia; ben presto si accorge di poter pensare, anche, due volte più in grande di tutti quelli che conosce. Ne è sorpreso e ne gioisce, e gioia e fierezza moltiplicano ancora di più la forza delle sue idee, dei suoi progetti, delle sue azioni. Nascono nella plenitudine della sua energia, tra il 1830 e il 1844, opere che segneranno la storia dell’Unità. Elabora una vasta storia d’Italia, traduce opere di storiografia tedesca, pubblica la biografia e le lettere di Carlo Vidua, l’amico più caro, morto in un lontano viaggio in Oriente il 25 dicembre 1830. Balbo si profonde in quegli anni anche in una vasta attività di pubblicista. Balbo, sulla scia dell’amato Vittorio Alfieri, fu una delle anime più belle del Piemonte, una personalità unica nel Bel Paese. Personaggi di questa qualità intellettuale ci fanno comprendere perché aristocratici tedeschi, come Fridolin Rudolf Theodor von Senger und Etterlin, generale tedesco, ancora nel Novecento lodassero lo spirito del Piemonte. Per non citare Hartmann, un uomo di lettere scomparso prematuramente nelle trincee del primo conflitto mondiale, che osservò come il Risorgimento fu il risultato di un poderoso movimento nato in Piemonte, culla «della nobiltà e della intellettualità». Nella foto: Chantal Balbo, Roberto Coaloa e Dionigi Roggero durante la prima presentazione del libro a Moleto (foto Luigi Angelino)

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