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  • 29 settembre 2010
  • Valmacca

Il valore dell’Unità d’Italia e del Risorgimento

Sabato 2 a Torino, al mattino, per il convegno nazionale di studi “Il Piemonte diventa Italia”, organizzato dall’Associazione Immagine per il Piemonte, lo studioso casalese Roberto Coaloa presenterà la relazione «Il nemico del Risorgimento: l’Impero asburgico di Francesco Giuseppe. Corrispondenze e antagonismi tra Asburgo e Savoia». Alle 21, al Teatro Civico di Valmacca, lo stesso Coaloa introdurrà la proiezione del film “Senso” di Luchino Visconti (ambientato nel 1866, sullo sfondo della Terza guerra d’indipendenza alla vigilia della battaglia di Custoza). ----------------- Per comprendere il valore dell’Unità d’Italia e del Risorgimento occorre conoscere il nemico di quella impresa: l’impero d’Austria degli Asburgo, che allora aveva uno degli eserciti più potenti d’Europa. Convinto come sono che la storia di un’epoca non si può fare solo con le fonti storiche degli attori principali di quella vicenda, ad esempio i vincitori che portarono all’unificazione della penisola nel 1861, ho iniziato a studiare anche i vinti. Insomma, non si può fare una storia solo con i documenti di una parte dei protagonisti: i Savoia, il conte di Cavour e Giuseppe Garibaldi. Occorre conoscere e aver studiato le vicende del nemico, in questo caso gli Asburgo, che come casa regnante europea si oppose all’unificazione italiana. Devo questo insegnamento a un Maestro, che penso con costante gratitudine: Giorgio Rumi. Scomparso il 30 marzo 2006, era innanzitutto un uomo di gran discrezione ed eleganza, era poi un grande storico, cresciuto alla scuola di Ettore Passerin d’Entrèves e di Rosario Romeo. Me lo ricordo ancora come fosse ieri, nella sua casa milanese in via De Amicis, a discutere di Unità, di Cesare Balbo, di Camillo Benso conte di Cavour e di Vincenzo Gioberti, al quale aveva dedicato un saggio illuminante. Rumi diventava una figura eroica del Risorgimento quando ragionavamo di storia e rievocavamo i protagonisti. Il professore mi domandava: «Come fermare gli austriaci e i russi? Con quattro pifferi d’italiani? Mica tutti sono di Casale Monferrato, che come diceva Romeo non scappano». A questo punto del discorso iniziavano i grandi elogi a re Carlo Alberto e si ripensava al 1849, un anno, che nonostante la “fatal Novara”, fu l’anno decisivo del Risorgimento. Nell’atroce sconforto della disfatta del re Carlo Alberto a Novara e di quella delle armi democratiche in tutta l’Italia, la resistenza di Casale - tra il 24 e il 25 marzo 1849 - aveva in qualche modo salvato l’onore piemontese e costituiva un monito contro la “pax asburgica” che stava per schiacciare Brescia (2 aprile 1849) e Venezia (24 agosto 1849). Casale fu difesa non dall’esercito sabaudo ma dai volontari, accorsi da tutto il Monferrato per difendere la loro capitale dall’esercito austriaco. Morirono nobili e semplici cittadini: il conte Vittorio Morozzo di San Michele, ma anche Faustino Granella, sellaio, e Pietro Deregibus, fabbro ferraio. Grazie a Rumi ho imparato a riflettere, a farmi domande insidiose, a ricontrollare le fonti, non per insicurezza, ma per una propensione tipica dello storico: il rispetto dei documenti. In Italia, le guerre per l’indipendenza del 1848-49, del 1859, del 1866 e quella - voluta come “Quarta” e conclusiva - del 1915-18, avevano fatto identificare l’impero degli Asburgo con il sovrano Francesco Giuseppe, «il grande nemico dell’indipendenza italiana e scatenatore della guerra europea» che aveva personalmente combattuto a Solferino, il 24 giugno 1859. Per questa ragione, nel 1915, la maggioranza degli italiani individuava il nemico con «il venerando vecchio imperatore», che in quell’anno compì 85 anni. L’era di Francesco Giuseppe iniziò dopo la rivoluzione nel dicembre 1848, quando il diciottenne Franz Joseph salì al trono. Nel corso dei secoli, gli Asburgo non avevano avuto, per così dire, i favori di una buona stampa. La famiglia intera fu demonizzata: una vulgata li affermava responsabili di una «lunga storia di atrocità». Per il movimento nazionale italiano gli Asburgo, insieme ai loro regni in varie regioni della penisola, sono stati il nemico numero uno. Il volume “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, l’intellettuale piemontese arrestato dalla polizia austriaca nel Regno Lombardo-Veneto, ebbe un gran successo e concorse in misura decisiva a creare un’opinione favorevole alla «questione nazionale italiana». Forse non è sufficientemente noto il fatto che alla corte di Vienna nel Seicento e nel Settecento ci fu sempre almeno un “poeta cesareo” ed esistevano accademie di poeti italiani, di cui era socio anche l’imperatore, che si dedicava alla composizione di poesie in italiano. Dal Trecento fino ad oggi gli Asburgo hanno stretto legami familiari con dinastie italiane, con i Visconti, gli Sforza, i Medici, i Gonzaga e ripetutamente con i Savoia. Grande è il numero dei condottieri italiani, che sotto le bandiere asburgiche riportarono vittorie e gloria; i più famosi furono Ambrogio Spinola, Raimondo Montecuccoli e il “Gran Capitano” Eugenio di Savoia. Ancor più grande è il numero degli artisti italiani, pittori, scultori, architetti, cantanti e musicisti, che furono al servizio della Casa d’Austria. Nella storia dell’età delle riforme, e quindi indirettamente in quella della preparazione del Risorgimento, l’imperatrice Maria Teresa e i suoi figli, Giuseppe II e Pietro Leopoldo, occupano un posto indiscusso. Da gran parte dei toscani, la “Casa Lorena” per varie generazioni è stata considerata non come una dinastia straniera, ma una locale, radicata nella regione stessa. Nel 1842, il grido «Viva Verdi» risuonò spesso nelle strade di Milano, dal debutto alla Scala - il 9 marzo 1842 - dell’opera il Nabucco di Giuseppe Verdi. Il coro degli schiavi ebrei sulle rive dell’Eufrate era parso rappresentare la condizione servile del popolo lombardo sotto il dominio austriaco. Luchino Visconti, nel suo film “Senso” (1954), fece largo uso di Verdi patriota. Il film, tratto dal racconto omonimo di Camillo Boito (sceneggiatura di Suso Cecchi d’Amico e Luchino Visconti, con la collaborazione di Carlo Alianello, Giorgio Bassani, Giorgio Prosperi, Tennessee Williams e Paul Bowles), è ambientato nel Veneto del 1866, durante la Terza guerra d’indipendenza, alla vigilia della battaglia di Custoza. Il film inizia con una rappresentazione del “Trovatore” alla Fenice di Venezia, interrotta da una manifestazione irredentista durante la quale il marchese patriota Ussoni (interpretato da Massimo Girotti) sfida il tenente austriaco Franz Mahler (Farley Granger). Alla Fenice, i patrioti italiani - al grido di «Viva Verdi» - gettano i loro manifesti tricolore al termine del coro «All’armi, all’armi! Eccone presti/a pugnar teco, teco a morir», in cui l’esercito delle comparse teatrali, armate fino ai denti, sembra sfidare quello degli ufficiali austriaci nelle prime file della platea. Verdi era il nome del compositore, naturalmente, ma anche, nella tradizione risorgimentale, l’acronimo di «Vittorio Emanuele re d' Italia». Pochi ricordano che il Nabucco è dedicato a Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena, promessa sposa del principe Vittorio Emanuele, futuro primo re d’Italia. Anche la trama è allusiva a una funzione nazionale degli Asburgo! Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena era figlia dell' arciduca Ranieri d’Asburgo, viceré del Lombardo Veneto, e di Maria Elisabetta di Savoia-Carignano, sorella di re Carlo Alberto. Sposò il cugino Vittorio Emanuele a Stupinigi il 12 aprile 1842 (l’anno del Nabucco) e sarebbe divenuta regina d' Italia se non fosse morta improvvisamente il 16 gennaio 1855, dopo avere dato alla luce otto figli (il primo maschio fu Umberto, principe del Piemonte e poi re d’Italia come Umberto I). È altrettanto vero che Nabucco, nel pasticciato libretto di Temistocle Solera, è tutto fuorché uno spietato tiranno. Quanti lombardi, in quegli anni, credettero che la Lombardia e il Veneto avrebbero potuto conquistare, all’interno dell’impero asburgico, una maggiore identità nazionale? Non fu questo il disegno di Carlo Cattaneo? Roberto Coaloa FOTO. Luchino Visconti gira Senso

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