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Fedro ribaltato Il precedente di Gabriele Faerno

L’agnello (‘n bigin pin ad blaga)e il lupo sdentato

L’Esopo monferrino Zoofavole dialettali raccolte e scongelate, tradotte e commentate da Pietro Giordano Odalengi (33-fine)

 

L’agnello e il lupo

"L’era ‘n lüv sensa denc, tüt asdernàpar i rumatich, e ch’al strüsava l’ pioti.

Mincantant, par mangià,al masim al barclava du caroti,mandanda zü dui gril e ‘na lümaga.

Trantulanda, ‘n bel dì,al riva sla riva d’in ri.

Lì l’ancuntra ’n bigin che, pin ad blaga,ai fa: “Vzinti, s’tè bon,

ch’vöi dati ‘n arbitòne ‘n causs ant al cü,ch at manda a gambi ‘n aria e testa ‘n zü.

E va beivi luntan, che ‘l ri l’ha schivi!E rinlgrassi ch’sun brav e ch’at lass vivi!”E ‘l lüv: “L’è nen da mi ch’devi vardati,

datu ch’ai la fas nanca a sbarüati,ma t’è ‘proi sicür,

bel cit basan,d’ salvati da la Pasqua di cristian?“

 

La traduzione

Era un lupo sdentato e tutto rattrappito a causa dei reumatismi, che si trascinava a fatica sulle zampe malferme.Ogni tanto, dovendo pur mangiare qualcosa, leccava un paio di carote, aiutandosi così a trangugiare qualche grillo e una lumaca.Un giorno, barcollando, raggiunge la sponda di un ruscello. Là incontra un agnellino che, pieno di tracotanza, così lo apostrofa: “Avvicinati se ne hai il coraggio, così che io ti possa dare uno spintone e un calcio nel sedere, mandandoti a testa in giù e a gambe all’aria. E ringrazia che io sono buono e ti risparmio la vita. Quanto a te, vattene a bere altrove, che qui fai ribrezzo anche al ruscello”.E il lupo: “Quello che è certo è che non è più da me che ti devi guardare, dato che non rie-sco più a farti paura. Ma sei proprio sicuro, o piccolo sciocchino, di sopravvivere alla Pasqua dei cristiani?”

 

Il commento

Per lungo tempo, la favola di Fedro, dedicata al lupo e all’agnello, è stata, assieme a poche altre favole e ad altri facili testi, uno dei primi esempi di lettura per gli studenti che affronta-vano la lingua latina.E ciò anche indipentemente dalla metafora del prepotente che non solo prevale sul debo-le innocente, ma se ne costruisce anche una giustificazione, quasi una copertura ideologica della giustizia e della prevaricazione.Ma allora la favola rappresentava anche un sen-timento globalmente condiviso dall’opinione pubblica, da cappuccetto rosso, da pastori e mandriani, nonché dagli stessi libri scolastici: l’odio per il lupo cattivo. Un’autentica campagna mediatica di demonizzazione senza residui.Al confronto, l’ignoto favolista monferrino si rivela un campione di equilibrio e di equidi-stanza, presentandoci invece un lupo, vecchio e malconcio sì, ma anche un po’ filosofo e so-prattutto disincantato.La favola nostrana ha tuttavia un precedente illustre, che risale al Rinascimento, quando ven-ne pubblicata in Italia l’opera di Esopo, appena scoperto. Ne seguirono versioni e traduzioni interessanti in varie parti d’Europa.Una di queste versioni, elegantissima, è quella L’iLLustrazioneche porta il n. 87 delle “Cento Favole” del cre-monese Gabriele Faerno, recentemente ristam-pate dall”Editore Salerno di Roma.Il titolo è “Agnus et lupus”, mentre la favola sco-lastica di Fedro è “Lupus et agnus”. Uno sposta-mento idoneo a meglio sottolineare l’inversione dei ruoli tra i due animali. Qui c’è un agnello che, sentendosi ben sicuro da ogni pericolo (si trova sulla cima di un tet-to), rivolge ingiurie sanguinose ad un lupo di passaggio. Il lupo gli risponde con sorridente distacco: “Non sei tu a ingiuriarmi: è il posto in cui ti trovi”. Un’ultima osservazione: l’aggettivo dialetta-le “basan” (forse da tradurre in baggiano), nelle nostre antiche parlate rurali, significava “immaturo”


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