“CD74”, il recettore che aiuta a lottare contro il mesotelioma
di Massimiliano Francia
Proseguiamo la rubrica su amianto e ricerca scientifica esaminando gli studi illustrati nella seconda Newsletter del GIMe (Gruppo Italiano mesotelioma) diffusa lo scorso maggio. Ne parliamo con la ricercatrice dell’Università di Pisa Elisa Barone, del gruppo di ricerca guidato dai professori Stefano Landi e Federica Gemignani.
Un interessante studio orientato alla ricerca di nuovi marcatori implicati nello sviluppo del mesotelioma pleurico è stato condotto dalla equipe del professor Otterstromn nell’ospedale universitario di Ginevra, in Svizzera, studio mirato a identificare nuovi bersagli terapeutici o marcatori utili nel definire la prognosi.
Il principio - ci spiega Elisa Barone, ricercatrice dell’Università di Pisa - è che se «all’interno del tessuto tumorale è sovraespressa una particolare proteina rispetto a un tessuto sano questa potrebbe essere un bersaglio terapeutico», in quanto favorisce lo sviluppo della malattia.
Tuttavia potrebbe anche essere espressa dal tessuto sano intorno al tumore, tessuto che reagisce producendola per combattere la crescita delle cellule neoplastiche.
Nel primo caso si tratterebbe perciò di un bersaglio terapeutico (sviluppando o individuando farmaci in grado di inibirla) mentre, nel secondo, si potrebbe intervenire (sempre con farmaci mirati) per rafforzarne il ruolo e la funzione.
La diminuzione della proteina favorevole allo sviluppo delle cellule tumorali o alla loro migrazione (meccanismo alla base della formazione delle metastasi) può infatti giocare un ruolo significativo nel rallentamento o addirittura nel contenimento della malattia.
Il MIF e il CD74
L’equipe svizzera ha svolto uno studio mirato a valutare il ruolo di una proteina denominata MIF (Fattore inibitorio di migrazione) e del suo recettore CD74. A tale scopo ne è stata quantificata l’espressione in 352 campioni di tessuti tumorali di pazienti a cui era stato diagnosticato il mesotelioma tra il 1975 e il 2004. Il risultato è che MIF è risultato espresso nel 95% dei campioni e che nel 66% di questi mostrava un livello d’espressione medio-alto. Il 98% dei campioni era positivo anche per CD74, con un livello d’espressione medio-alto nel 60% dei casi.
Lo studio ha anche consentito di appurare che alti livelli di CD74 (ma non di MIF) sono associati a una maggiore sopravvivenza, mentre la mancata espressione di CD74 è risultata associata a una sopravvivenza significativamente inferiore. L’influenza di CD74 e MIF però – sottolinea la ricercatrice - «sembra variare in base al tipo di cancro e allo stadio della malattia. Questo potrebbe essere spiegato dai differenti vie cellulari (pathway)».
In un caso può infatti verificarsi sia un aumento della proliferazione delle cellule malate, sia un decremento dell’apoptosi (il fenomeno per cui le cellule malate si “suicidano”, cosa che non avviene, però, nei tumori) sia un aumento della migrazione cellulare (metastasi) .
Ma se invece si attiva una differente via cellulare si verifica «un decremento della proliferazione cellulare, della vitalità cellulare e del potenziale metastatico di cellule tumorali», dice la Barone.
Avere compreso i meccanismi di questi geni (le differenti vie cellulari attraverso cui avviene uno o l’altro meccanismo biologico) apre la porta ai patologi a «una migliore caratterizzazione istologica del mesotelioma e ai clinici per l’identificazione di pazienti con prognosi peggiore», aggiunge la ricercatrice.
E naturalmente alla ricerca di molecole farmacologiche che siano in grado di inibire il percorso maligno e di attivare quello favorevole.
Attenuare la chemioresistenza
Nella newsletter di maggio del GIME - sottolinea Elisa Barone - ci si è soffermati però anche su altri due studi.
C’è infatti un’altra proteina dal nome impronunciabile (Glutatione-S-transferasi π, indicata con la sigla GSTπ) che è espressa in livelli significativi nel mesotelioma e si ritiene che «attenuando i suoi livelli intracellulari - spiega la ricercatrice - si potrebbe fornire un mezzo per sensibilizzare le cellule di mesotelioma alla chemioterapia» tradizionale a base di cisplatino. Il sistema per arrivare a ciò sarebbe una nuova metodica con rilascio di nanoparticelle che hanno dimostrato di essere efficaci come vettore del siRNA (sequenza di RNA in grado di spegnere l’espressione del gene bersaglio).
Questa metodica consentirebbe di attenuare la cosiddetta chemioresistenza e di dare maggiore efficacia ai trattamenti terapeutici standard a base di cisplatino.
Un altro aiuto viene dal MIR-145
Infine un terzo studio prende in esame il MIR-145, un filamento di rna in grado di interferire con l’OCT4 sovraespresso in molti tumori, attenuando così la progressione tumorale.
A riguardo di questo ed altri risultati in questo ambito, alcuni gruppi di ricerca coordinati dal GIMe e in collaborazione con altri staff internazionali (a Sydney e Honolulu) stanno già portando le evidenze su altri filamenti di RNA in sperimentazioni cliniche di terapie genetica nei pazienti con mesotelioma.
nella foto: Elisa barone
Si è laureata in Scienze Biologiche all’Università di Pisa. Come dottoranda (Medicina molecolare) sta svolgendo un progetto per identificare i geni deregolati nel mesotelioma e valutare il loro ruolo biologico nello sviluppo e mantenimento di tale neoplasia