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Poco pubblico, ma lo spettacolo era molto valido

Claudio Debetto assume una posizione fortemente critica sullo spettacolo ‘Dopo il 25 aprile 1945’ offerto agli studenti casalesi nell’ambito della Giornata del Ricordo, cui ho assistito e sulla quale non concordo. Io invece giudico positiva l’idea di fare uno spettacolo dedicato ai giovani, invece di una commemorazione al Tartara come negli anni passati, con qualificati studiosi, ma cui purtroppo assistevano pochissime persone. Mi ha colpito l’atteggiamento dei ragazzi, esuberanti prima dell’inizio dello spettacolo, poi silenziosi ed attenti durante lo svolgimento: fin dall’Atene del IV secolo il teatro è un momento di riflessione sui temi dell’etica e della storia. Ma veniamo alla pièce che ritengo liberamente ispirata al libro ricordi di Baral, un sopravvissuto al lager di Borovnica. Baral era un occitano, cuneense della Val Maira, che prima della campagna di Russia aveva prestato servizio in Slovenia, dove si era innamorato di una ragazza e di quel piccolo popolo (come il suo), con la sua lingua, le sue tradizioni e la sua musica (racconta di aver fatto parte del coro parrocchiale, poi lasciato su richiesta del parroco per non attirare rappresaglie titine sulla comunità). Dopo l’otto settembre aveva saputo della formazione del battaglione Bersagliere Benito Mussolini, destinato alla Slovenia e si era arruolato volontario, per rientrare in quelle terre. Il battaglione non effettuava rastrellamenti o rappresaglie, sorvegliava la ferrovia Trieste-Vienna. Il resto è narrato nello spettacolo: la resa dopo il 25 aprile, prima con le usuali condizioni che vengono riconosciute ai soldati avversari dopo la fine di ogni guerra, poi le torture e le sevizie. Questo per quanto riguarda lo spettacolo, dove Debetto non contesta che verso i soldati italiani, rei di appartenere ad un esercito sconfitto, siano state commesse inenarrabili atrocità. Stessa sorte toccata a carabinieri, finanzieri, marinai. Invece Debetto, che dice di’parlare a nome di noi esuli’ sposa in toto la tesi revisionista, adesso di gran moda. E’ vero che nel 1918, dopo la prima guerra mondiale, l’Italia, ossessionata dalla sicurezza del confine militare dopo l’esperienza dei sanguinosi assalti alla baionetta dal basso verso l’alto, si è annessa territori e popolazioni slave (oltre che sud tirolesi). E’ anche vero che il fascismo ha tentato un’opera di snazionalizzazione, ma non si è mai arrivati alla ‘pulizia etnica’ come quella effettuata dal Maresciallo Tito dopo la fine della guerra: la soluzione finale per un territorio composito. Giusto anche notare che in terre in cui le razze italiane, slave, tedesche, ungheresi si mischiano le popolazioni sono vissute per secoli in pace (merito prima della Serenissima Repubblica Veneta e poi dell’Impero Asburgico (‘la defonta’ come si dice ancora rispettosamente nel dialetto locale). Questo fino allo scoppiare dei nefasti nazionalismi (non sentimenti nazionali) del secolo XIX che purtroppo nei Balcani sono ancora in agguato, come le stragi delle recenti guerre serbo-croato-bosniache testimoniano. Anche vero che l’aggressione dell’Italia alla Jugoslavia è stata una follia dal punto di vista militare ed un abominio dal punto di vista del diritto dei popoli. Però tutto questo non giustifica il genocidio della componente italiana delle terre giuliane, istriane e dalmate, che ha portato all’esodo di 350.000 italiani: chi non capiva con le buone che doveva andarsene veniva infoibato, semplicemente perchè italiano: ridicola la tesi che gli infoibati fossero solo i criminali fascisti, che anzi avevano già prudentemente preso il largo, lasciando a pagare solo i poveracci come il soldatino dello spettacolo teatrale. A Gorizia tra in primi infoibati dopo l’occupazione titina ci furono due componenti del locale CLN, Olivi e Sverzutti (rispettivamente socialista ed azionista). Condivisibile anche l’auspicio di non considerare mai nelle vicende storiche tutti i buoni da una parte e i malvagi dall’altra, del resto evidenziato anche nel testo teatrale quando si racconta della pietà della popolazione slava verso i prigionieri, uomini come gli altri. In conclusione, a teatro il giudice è il pubblico: l’attenzione con cui è stata seguita la rappresentazione e gli applausi finali sanciscono che l’iniziativa è stata positiva. Mi auguro che i ragazzi siano stimolati ad approfondire per loro conto le vicende del confine orientale, per motivi di opposte ideologie ancora poco conosciute. Suggerimento: l’anno prossimo si rappresenti ‘La cisterna’ che narra le vicissitudini di una famiglia di contadini italiani costretti all’esilio. P.S: ho volutamente citato dei nomi, chi vuole può approfondire su internet.

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Michele Castagnone

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